Il mercato nero dei soldati russi: “Si corrompono i superiori per non andare in prima linea”

People walk under the giant Victory Banner unfolded at the WWII open-air museum at the Red Square in Moscow, Russia, Saturday, June 21, 2025, ahead of the 80th anniversary of the 1945 Victory Parade. (AP Photo/Pavel Bednyakov)

Quello che non trapela quasi mai dai media ufficiali lo abbiamo ascoltato dalla voce di chi la guerra e la negazione della libertà le vive sulla propria pelle. Due trentenni russi, lontani dagli stereotipi, ci hanno aperto il loro cuore: ragazzi pacati, sportivi, amanti della natura, rispettosi dell’ambiente e ben inseriti nella società che li ospita oggi. Il volto è sereno, ma lo sguardo tradisce un’amara consapevolezza. Con calma, quasi con timidezza, raccontano ciò che hanno visto e sentito: una realtà che supera le nostre peggiori ipotesi.

I soldati morti al fronte

Dal 2022 a oggi, secondo le loro parole, sarebbero circa 120.000 i giovani soldati russi morti al fronte, tra i 20 e i 29 anni. Numeri impressionanti, che riguardano solo i cadaveri identificati: altrettanti restano senza nome. Un’intera generazione falciata dalla guerra. Ma davvero si tratta di militari volontari? La risposta è sconvolgente: in gran parte no. Fuori da Mosca, dove il tenore di vita è più basso, lo stipendio medio si aggira intorno ai 400 euro, troppo poco per mantenere una famiglia.  Al fronte se ne guadagnano circa 2.000, abbastanza per sfamare i propri cari. Non una scelta libera, dunque, ma una necessità disperata. E c’è di peggio: esiste un vero e proprio “mercato nero della morte”. I soldati sono costretti a cedere parte della paga ai superiori per non essere mandati in prima linea senza equipaggiamento né strategie. Chi non paga rischia la morte certa.

Gli interessi degli oligarchi

A casa, la libertà non esiste. Si rischia l’arresto per un semplice “like” sui social o per aver indossato un capo con i colori dell’Ucraina. Raccontano di una ragazza condannata per un paio di orecchini con la bandiera della pace, e di un operaio punito per aver tracciato linee gialle e blu sulla segnaletica stradale. Nelle strade regna il silenzio: niente politica, niente discussioni, solo paura. Sulla presunta “pulizia etnica” iniziata nel 2014 nel Donbass, la loro versione contrasta con quella diffusa dalla propaganda. Per anni, dicono, russi e ucraini hanno convissuto pacificamente. Poi un gruppo di agitatori ha cominciato a provocare disordini, come se fosse tutto pianificato per destabilizzare l’area. Il caos è stato trasformato in pretesto per una narrazione distorta, utile agli interessi degli oligarchi che nel frattempo continuavano ad arricchirsi con la corruzione e con fondi pubblici mai usati per gli scopi dichiarati.

I metodi repressivi di Putin

Questi due giovani non urlano slogan e non cercano scontri ideologici. Raccontano la loro vita e quella di milioni di persone costrette a vivere sotto un potere che non tollera dissenso. Putin, spiegano, utilizza oggi gli stessi metodi repressivi già sperimentati in passato, su territori più piccoli, ma con la stessa ferocia. Negli anni non ha fatto che ampliare la scala del suo controllo, fino a trasformarsi in una sorta di “imperatore del male”. Il loro racconto ricorda che il popolo russo non coincide con il regime. È fatto di uomini e donne normali, spesso persone straordinarie, che però vivono intrappolate in un sistema autoritario. Una vita quotidiana segnata dal silenzio e dalla paura, ma anche dalla dignità di chi, pur senza clamori, continua a resistere.