Il mondo si specchia nei vetri dell’Onu. L’Italia aggiusta la posizione su Israele

Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 25 Settembre 2025 New York,Usa Politica Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla all'assemblea ONU DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE - Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

Il palazzo dell’Onu a New York è un parallelepipedo di vetro in cui il mondo o meglio il pianeta è andato a specchiarsi per non riconoscersi. Hanno parlato i grandi, i medi e i giganti, tutti riflessi nello specchio del Palazzo che restituisce un’immagine di intelligenza artificiale sempre più incompatibile con quella naturale.

Partiamo da noi, nel senso dell’Italia, con Giorgia Meloni che riaggiusta la posizione su Israele e procede verso il riconoscimento dello Stato palestinese, modificando la vecchia posizione sulla proporzionalità. Deve Israele reagire in modo proporzionato ad Hamas inseguendo fino all’inferno il suo ultimo uomo, o deve contentarsi di aver reso la pariglia del male subìto? La novità è che anche secondo l’Italia che Israele esagera, è andata oltre, va fermata, va sanzionata: d’accordo sul terrorismo di Hamas, il 7 ottobre e tutto il resto, ma ci deve essere un limite e quel limite Israele l’ha superato, sostiene la nuova linea diplomatica. Dunque, l’Italia si aggiusta e concorda sul fatto che lo Stato palestinese che non c’è, invece c’è. Purché siano fatte salve le due condizioni degli ostaggi liberi e Hamas fuori dal governo. Intanto la festosa flottiglia degli aiuti umanitari sta per entrare nelle “acque palestinesi” che non esistono, ma che dobbiamo invece ipotizzare che ci siano.

Donald Trump intanto ha innestato una nuova marcia. L’ucraino Zelensky ne è sorpreso e annuncia che se l’America proteggerà l’Ucraina, lui non si ripresenterà alle elezioni. I russi sono sempre più incupiti e il mondo parla di pace e di interventi di peace-keeping, perché la nuova parola d’ordine non è quella dell’interventismo dopo la pace, ma di immobilismo finché la guerra dura. Gli indonesiani si sono proposti come grandi fornitori di truppe terzomondiste affidabili mentre il premier turco Erdogan fa rissa con Israele accusando lo Stato ebraico di volere una crociata contro l’intero mondo musulmano (perché il mondo musulmano è lui in persona).

La grande assente era la padrona di casa, l’Onu stessa, che non ha alcun potere e neppure un criterio univoco ed è dunque incapace di condannare intervenire. Incapace perché totalmente disarmata. Quando le Nazioni Unite hanno bisogno di un esercito si rivolgono agli americani come è accaduto nell’intervento nel Kuwait. Oggi l’Onu è assente dentro le sue stesse mura di cristallo. La grande aula di marmo verde non è mai piena conferendole così un’aria di chiesa sconsacrata. E su questo tutti sono d’accordo: da Giorgia Meloni a Trump a Macron e implicitamente tutti gli altri convengono sul fatto che questa riunione sull’Apocalisse prossima ventura avviene in un non-luogo inutilmente fastoso ma sudicio all’esterno, da cui un segretario generale pomposo e irrilevante come Antònio Guterres non potrà, neanche cercandole col lanternino, trovare le forze per fare qualsiasi cosa. Il Palazzo di vetro è un’anticaglia storica in cui non si celebrano più i caposaldi della politica internazionale che vieta ad ogni paese di aggredire il vicino per mangiarselo vivo. E questo è un grande passo indietro rispetto ai tempi in cui tuonavano le voci nemiche del ministro degli Esteri sovietico Andrei Gromyko e dei suoi oppositori americani come Adlai Stevenson: “Smetterò di dire la verità su di voi quando voi smetterete di dire menzogne su di noi”.

Il grande convitato silenzioso ma gigantesco è come sempre la Cina preoccupatissima per gli sviluppi in Ucraina perché non può permettersi – e permettere – guerre che rovinino le sue prospettive di sviluppo industriale commerciale. Ma i venti cambiano e hanno l’alito pesante. Ieri il capo del Pentagono e ministro della Difesa americano Pete Hegseth ha improvvisamente convocato una riunione di tutti i vertici militari degli Stati Uniti in Virginia. Nessuno conosceva il motivo dell’improvvisa convocazione, ma certamente sapevano che era collegato ha una nuova linea della Casa Bianca che si può indovinare sia quella di un ritorno allo scontro con i russi. I russi seguitano a far sentire la loro voce attraverso Peskov e attraverso il ministro degli Esteri per dire che la Russia non è una tigre di carta, che non si farà imporre nulla da nessuno mai, che è pronta a combattere distruggendo qualsiasi nemico, anche se le sue uniche motivazioni sono pacifiche.

Un mondo così non si era mai rispecchiato in quei vetri scuri e abbaglianti del palazzo dell’Onu a New York. È un mondo non solo lacerato dai conflitti, ma in cui i conflitti si combattono con armi quasi sconosciute e che tutti stanno già usando. Sicché è diventato indifferente dire se siamo non siamo di fronte alla terza guerra mondiale, perché tutte le risposte sono buone – nel senso che tutti combattono in modo ferocissimo – e in modo sempre più lontano dagli ideali fondatori delle Nazioni unite, nate nella speranza che l’ultima guerra sia stata veramente l’ultima. É una speranza che richiede soldi ed energie. Tutti gli oratori si sono mostrati consapevoli del fatto che ormai manca un organismo sovranazionale capace di imporre con i numeri della volontà politica e la potenza della legge che regola i rapporti tra i popoli e che quindi gli appelli all’ente supremo della civiltà sono del tutto innocui se non ipocriti o ironici.

Appena fondate le Nazioni Unite dovettero immediatamente combattere una vera guerra con milioni di morti in Corea, usando come eserciti quello americano e gli eserciti occidentali alleati della Gran Bretagna, del suo vacillante impero e della Francia (l’Italia, Paese sconfitto come la Germania inviò una tenda ospedale), così come usciti dalla Seconda Guerra Mondiale. Le Nazioni Unite, intese come istituzione, sono un altro dinosauro erbivoro di quelli giganteschi e inermi, dall’aria dotta e indottrinata, ma totalmente privi di denti e di artigli. Manca però un potere decisionale e il Consiglio di sicurezza formato dagli ex vincitori della guerra – e con diritto di veto – è un’istituzione spenta. Il mondo è intimidito dalle personalità bizzarre e imprevedibili – tutte miliardarie anche nel campo che una volta si chiamava socialista – per cui tende a organizzarsi in altre assemblee ambizione come quella dei Brics, delle monete alternative al dollaro e alleanze con molte valenze, come quelle che legano una superpotenza emergente come l’India del presidente Modi sia alla Russia che agli Stati Uniti, ma con lo sguardo fisso sulla Cina.

E poi il già citato leader turco Erdogan che ha già rimesso insieme molti pezzi del vecchio impero Ottomano mentre è sia membro della Nato che un giocatore imprevedibile con la Russia. E, infine la Russia che, a detta di tutti gli indicatori, dovrebbe essere sull’orlo del baratro economico e che seguita ad arruolare soldati con premio d’ingaggio di 25mila euro fornendo assicurazioni sanitarie e pensionistiche e schierando 700mila uomini pronti a combattere le nuove guerre.