Il Pd di Schlein si basa su un risentimento permanente: il progressismo ZTL e la sponda con i populisti

Elly Schlein durante la Conferenza nazionale del Partito democratico sulle politiche industriali, Roma, Venerdì 11 Luglio 2025 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Elly Schlein during the National conference of the Democratic party on industrial policies, Rome, Friday, July 11, 2025 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)

Un tempo la sinistra italiana aveva due gambe. Da una parte la rappresentanza sociale: fabbriche, sindacati, servizi pubblici e welfare come bandiera. Dall’altra la modernità dei nuovi diritti civili, in un Paese che sulla dignità delle donne, dei lavoratori, degli omosessuali e delle minoranze scontava gravi ritardi storici. E su questo secondo fronte c’era il lievito essenziale dei radicali.

Risentimento permanente

Nei primi anni ‘90 quella sinistra si è sfracellata contro il Muro di Berlino e la saga di Mani pulite. E sull’onda dell’entusiasmo, i provvisori vincitori del repulisti giudiziario hanno in poco tempo dilapidato l’eredità. Invece di elaborare un progetto per l’epoca nuova, e attrezzarsi a difendere il Quinto Stato degli esclusi, dei precari cronici, dei nuovi poveri delle periferie, delle donne discriminate sul lavoro, degli immigrati da integrare, la sinistra si è rinchiusa in un salotto di indignati permanenti. Una comunità che vive solo del riflesso del nemico di turno: prima Berlusconi, poi Renzi, oggi Meloni. Una sorta di club del risentimento permanente.

Le caratteristiche

Da qui nasce il Pd di Elly Schlein. Non l’hanno vista arrivare perché in realtà era già arrivata da tempo. Ha solo messo il suo sigillo su un partito di generico progressismo ZTL. Battaglie identitarie così parcellizzate da tradire le loro premesse: ad esempio, ad oggi nessuno sa quale sia esattamente la galassia delle sessualità arcobaleno da insegnare persino nelle scuole. Poi, un linguaggio woke sempre pronto a censurare gli infedeli. Infine, la mobilitazione per le cause internazionali più alla moda. Il cemento di questa linea politica è il potere locale, sorretto da una tradizione di buona amministrazione, e soprattutto una solidissima rendita di opposizione: cosa può fare chi non è di destra, se non seguire le nostre sirene sul fascismo perennemente alle porte?

Il paradosso

Il paradosso è che, mentre il Pds-Ds di D’Alema e soci cercò per due decenni una sponda di centro – Dini, Prodi, la Margherita – il partito di Schlein ha scaricato il riformismo e la sponda la cerca a sinistra, regalando la rappresentanza dei ceti emarginati ai descamisados del furbo Giuseppe Conte. Così, lo spazio sociale viene coperto dai populisti peace and love, amici di Mosca e della spesa pubblica: reddito di cittadinanza senza controlli, bonus edilizi a pioggia, pacifismo di bandiera senza alcuna idea di sicurezza europea. Qual è la politica estera del campo largo? E la ricetta per l’immigrazione? Mistero. Sul fronte opposto, paradosso dei paradossi, lo statalismo trionfa anche al governo. Fra indefiniti piani casa, sconti fiscali e siderurgia assistita, chi pensa più a produrre, innovare, crescere?

Il partito del ‘non so che’

Era il 1982 quando Claudio Martelli lanciò la sfida del bisogno alleato al merito. La sinistra moderna, in effetti, sarebbe saper muovere la scala sociale, fare sintesi politica di chi produce e chi resta indietro, di chi crea ricchezza e chi chiede tutele. Invece abbiamo il Pd, partito del non so che. Ha smarrito la folla informe di chi non ha voce, ha trovato il ceto medio più vanitoso, privilegiato e pigro del pianeta.