Il Piano Mattei e la maturazione geopolitica del Governo Meloni

Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 20/06/2025 Roma, Italia Politica La premier Meloni al vertice sul Piano Mattei per l’Africa a Villa Doria Pamphilj DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE - Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

“La risposta alla disfunzione politica è la chiarezza morale” ha sentenziato qualche giorno fa nel discorso di chiusura dell’anno accademico all’Istituto europeo di Firenze Anne-Marie Slaughter, giurista americana ed ex capo della pianificazione della politica estera della presidenza Obama. Senza riferirsi a nessun leader in particolare, Slaughter ha sostenuto enfaticamente che la leadership non si misura solo dalla sua efficacia. I buoni leader, ha spiegato, trattano le controparti con pari potere e pari valore. Promuovono capacità di azione, dignità e opportunità. Sono duttili perché ammettono quando sbagliano. Sono coraggiosi perché difendono ciò che è giusto. Trovo questa tassonomia utilissima per provare a misurare l’ispirazione e l’impatto del Piano Mattei per l’Africa del nostro governo. L’impressione è che il vertice di Villa Pamphili al cospetto di alcuni leader africani e internazionali ma soprattutto ospitato insieme alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ne sancisca la piena maturazione politica.

Ma andiamo per ordine. Con il richiamo al nome di Enrico Mattei, Meloni ha piazzato da subito l’asticella molto in alto. Ha tenuto a rimarcare una scelta paritaria con i paesi africani che conteneva anche un’ammissione delle colpe e degli errori post-coloniali dell’Occidente. Il Piano com’è noto ha visto lunghi mesi di gestazione e di narrazione del Governo e altrettanti di progettazione, coinvolgendo tutti i principali attori italiani pubblici e privati della nostra cooperazione allo sviluppo. Almeno sulla carta, la genesi del programma rientra pienamente nelle categorie proposte da Slaughter: è collaborativo, duttile e coraggioso. Poi arriva la messa a terra. Dall’iniziale stanziamento di 5 miliardi di euro, sono stati elaborati una serie di progetti pilota con paesi africani su temi chiave come l’istruzione e la formazione, l’agricoltura, la salute pubblica, l’energia e l’acqua. L’inserimento ora della Commissione Europea con investimenti del cosiddetto Global Gateway fa compiere al Piano un salto non solo dal punto di vista finanziario ma anche da quello della legittimazione geopolitica.

C’è poi il rovescio della medaglia che è parimenti impossibile ignorare: ovvero che l’agenda di politica estera di Meloni è dominata dal contrasto all’immigrazione clandestina. È questa la piattaforma principale sulla quale questo Governo è stato eletto ed è chiamato a governare. Non credo sia troppo cinico sostenere che il Piano Mattei faccia rima con Salvini e il suo “aiutiamoli a casa loro”. Anche in questo caso, la cartina tornasole conduce dritto a Bruxelles. L’operazione condotta con spregiudicatezza dalla nostra premier è stata quella di europeizzare la sua agenda dell’immigrazione, coinvolgendo von der Leyen nei vari accordi di esternalizzazione delle frontiere, dalla Tunisia all’Egitto. Stesso metodo del Piano Mattei, con la differenza che gli accordi migratori fra abusi umanitari e sostegno a regimi dittatoriali escono a pezzi nella tassonomia proposta da Slaughter.

Il nesso fra sicurezza e investimenti è una costante della politica estera italiana in tempi recenti, specialmente ma non esclusivamente di centro-destra. Almeno da quando quasi vent’anni fa Berlusconi celebrò i primi accordi con Gheddafi con lo slogan: “meno clandestini e più petrolio.” Il vertice di Villa Pamphili ne segna la maturazione e con esso forse anche quella della politica estera di questo governo. Non vale per tutti gli ambiti allo stesso modo. Ma dare un impulso così sistematico in questa fase di sconvolgimenti epocali è un risultato tutt’altro che trascurabile.