La cantante esistenzialista francese Juliette Gréco, amica di Jean Paul Sartre, di Brassens e di Brel, cantava le pene d’amore della Pétite tonquinoise. Il movimento indipendentista e comunista vietnamita era guidato da rivoluzionari tutti di cultura francese passati per l’università della Sorbonne, il Partito comunista francese, e dunque attraverso la Rivoluzione francese. Ma la Francia sottovalutò, come poi fecero testardamente gli americani, la potenza militare convenzionale e corazzata dell’esercito vietnamita. A Diem Bien Phu, il 13 marzo del 1954, l’Armée Francaise schierò la sua migliore artiglieria, le migliori truppe e la fanteria, accusata di ridicola esagerazione per combattere un pugno di sporchi ribelli comunisti. Ma gli sporchi ribelli comunisti erano prima di tutto dei patrioti nazionalisti, avevano chiamato alle armi anche le donne, trasportavano a spalla per le foreste e le colline i pezzi d’artiglieria come formiche e inflissero all’esercito francese una umiliazione militare bruciante e definitiva. L’esercito guidato dal “Bismark vietnamita” Vo Nguyen Giàp aveva divisioni, cannoni, fanteria, truppe corazzate, ogni ben di dio fornito sia dall’Unione Sovietica che dalla Cina. Questa la situazione che trovarono gli americani, che furono ben felici della rotta francese. Kennedy, contro il parere del Congresso, cominciò a inviare aiuti, mercenari nelle vesti di consiglieri e truppe, finché (poco dopo la sua morte) fu creato un falso (o ingigantito) incidente navale nelle acque del Tonchino, che fornì il casus belli e in forza del quale l’America si trasferì in Vietnam. “Good morning Vietnam!”, prima di diventare un film scomodo e divertente era una realtà radiofonica mattutina per l’America che prima di salire in elicottero voleva il suo breakfast di uova strapazzate e caffè, ascoltando i risultati delle partite di baseball e basketball. E gli americani, come potete vedere dai documentari, non vollero sentir ragione: seguitarono a combattere una guerra contro i “guerriglieri” Viet Cong, ignorando il gigantesco esercito nordvietnamita di Giap ed Ho Ci Min. Le cui tattiche erano nuovissime: interi tratti di foresta venivano scavati con gallerie enormi riempite di truppe e postazioni d’artiglieria su cui veniva rimessa come un coperchio bonsai, l’intera foresta. E così, quando gli allegri americani andavano a sorvolare e sbarcare truppe, armati di mitragliatrici elicotteri e chitarre, scoprivano che una voragine si apriva sotto le loro scarpe da cui partiva all’attacco un esercito in grado di annientarli. Quando arrivavano i bombardieri, l’esercito fantasma era già sparito sotto altre gallerie. Fu un lento sanguinoso declino di bordelli e divisioni aerotrasportate, fame e sacrifici umani, incomprensioni e amori perduti, attentati e disperazioni. Richard Nixon, dopo un ultimo costoso impegno in bombardamenti inutili e terrificanti che misero in fiamme le foreste, gettò la spugna e trattò a Parigi un laborioso accordo che fu firmato il 27 gennaio del 1973 ma che avrebbe definito soltanto due anni dopo la forza delle armi. Gli americani se ne erano andati, lasciando ai Sud Vietnamiti, con grande ipocrisia, una enorme quantità di armamenti privi di pezzi di ricambio e di munizioni sufficienti per un lungo tempo. Saigon cadde il 30 aprile del 1975, la bandiera americana ammainata in fretta e furia dai marines in fuga dal terrazzo dell’ambasciata buttando giù a calci i vietnamiti attaccati alle funi. I comunisti avevano vinto. Ma l’effetto domino non ci fu: il Vietnam difese con le armi la sua indipendenza dalla troppo fraterna Cina e nel giro di una decina d’anni, tutti dimenticarono tutto.
Il Primo maggio del Vietnam: dallo scoppio della guerra alla sconfitta degli americani
