Pochi di voi ricorderanno quando i russi lanciarono nello spazio una sfera di latta con dentro una radio che emetteva dei bip. Era lo Sputnik e i poeti come Salvatore Quasimodo si scatenarono in un’apoteosi dell’homo faber, poi replicato dalle imprese spaziali di Yuri Gagarin e German Titov (di soli 25 anni) prima che gli americani si lanciassero con il loro programma Apollo che portò l’uomo sulla Luna. Che l’uomo avesse creato un satellite e poi cento mille centomila con cui far rimbalzare ogni impulso e verso e nota e suono è un’emozione subito perduta, come tutte. Se ne avessi la forza, almeno quella della disperazione, vorrei solo urlare: smettete, in nome del vostro Dio, della ragione, del vostro interesse, della civiltà e del principio del bene collettivo e individuale, di parlare male della tecnologia e ripetere in preda a lividi conati nei talk show televisivi (senza contraddittorio) che la tecnologia è la scienza, che non è vero. Che la tecnologia è arida e materialistica. Che tutto ciò che è spirituale è estraneo alla materia e dunque alla scienza e non parliamo della tecnologia. C’è un mondo che si rifiuta di considerare almeno in via di ipotesi, che la Fisica dei quanti, quella della relatività e la conoscenza in genere hanno da tempo mostrato l’equivalenza della materia e dell’energia e se volete anche dello spirito che si manifesta attraverso i fenomeni. La tecnologia non è in competizione con la natura umana, così come non lo sono i robot e l’intelligenza artificiale, perché nessun manufatto umano è consapevole di se stesso, non è in grado di provare dolore e sfuggirlo e non è in grado di sperimentare il piacere e cercarlo e di temere la morte come fine esistenziale irrimediabile. Tutto ciò appartiene e apparterrà all’uomo e non esistono conflitti fra una lavastoviglie, per quanto complessa, e il pensiero di Immanuel Kant e anche della signora del piano di sotto. Un mio caro amico fisico appena scomparso, il professor Gino Garrefa sfidava gli studenti: se vi lancio questo mazzo di chiavi e vi fornisco i dati dell’accelerazione, distanza, peso e traiettoria, siete capaci di calcolarla in un decimo di secondo? La risposta era sempre: no. Allora lui lanciava il mazzo di chiavi che veniva colto al volo da una mano e spiegava che nessun computer oggi e per molto tempo sarà in grado di calcolare istantaneamente un mazzo di chiavi. Oggi le applicazioni sono diventate le condizioni dello sviluppo dell’intelletto e i bambini insegnano ai genitori l’uso delle piccole macchine e certamente fanno anche molti giochi cretini, ma che saranno sempre meno cretini dei giochi con le biglie di terracotta che facevo io alla loro età. Lancio un mio petardo contro il luogo comune secondo cui la Natura è buona e saggia, costretta a reagire oltraggiata contro le corruttele e le violenze dell’uomo, invariabilmente egoista, avido di denaro, spogliatore di ricchezze, parassita e inquinatore. Provate a rovesciare il binocolo e guardate il mondo dal punto di vista opposto: la Natura, produttrice di ogni dolore, virus, tsunami, istinto predatore, veleno, agguato, terremoti, epidemia carestia e biblici flagelli, ha prodotto l’essere umano, questo vermetto su due piedi nudi e privo di pelliccia, che per conto dell’intero mondo ha cominciato a comprendere come il mondo è fatto e come migliorarlo con le tecniche, WiFi come le irrigazioni, satelliti come lo Sputnik che ormai trasmettono i segnali di tutti i pensanti con tutti i pensanti, con le medicine che nascono nei laboratori, con le macchine complesse che collegano i nervi di un arto tagliato con una protesi che permette di camminare e di vivere. Gli esempi sono troppi e dunque noiosi. Ma noi oggi, proprio oggi in mezzo al Covid e tutte le cazzate di un governo di improvvisatori, possiamo dire che il nostro è un governo di incapaci perché altri governi, come quello della Corea del Sud, Taiwan e anche la Germania di Angela Merkel, hanno sperimentato come usare la tecnologia della tracciabilità, i movimenti della malattia e di chi ne è portatore, mentre in alcuni nidi d’aquila lavorano dei modesti matematici che creano modelli statistici e li passano al computer per creare confronti, osservare variazioni, inventare e inventare. È finito il mestiere del maniscalco che ferrava i cavalli, è finito anche il giornalaio che vendeva giornali e le librerie hanno i giorni contati perché i libri si stampano nell’etere e si leggono sui tablet, così come il sovrano strumento che è il pianoforte, è ormai un attrezzo da museo perché nuove macchine musicali sanno fare ciò che nessuno prima avrebbe osato immaginare e l’immaginazione è continuamente sfidata, messa sotto stress e superata là dove lavorano gli sceneggiatori delle serie televisive costretti ad anticipare i tempi, abbreviare i punti morti, cogliere il segno del nuovo per rinnovare le librerie e offrire un oggetto nuovissimo che deve già essere vecchio quando viene al mondo perché è superato dal prossimo modello, non per famelicità materialistica, ma perché così funziona il progresso ed è il progresso che, fra tentativi errori e correzioni di errori, ci allunga la vita, ci allunga il pensiero, la speranza, l’amore, la passione e – sì – la spiritualità di cui molti seguitano a parlare come se fosse un universo fiabesco riservato agli intelletti superiori che non possono restare ancorati alla Terra. Il novanta per cento della materia oscura che compone l’universo è ignota ma attiva e non si sa che idee abbia. Ciò che accade dentro e oltre un buco nero, è ignoto. La divisione fra presente, passato e futuro è vecchia. Le macchine, i nostri occhi stanno indagando e seguiteranno ad indagarle. E intanto stasera vediamoci via Skype.
Il progresso è genio e talento, app per tracciare i movimenti sono il futuro
