Il ritratto di Charlie Kirk su Avvenire: dov’è finita la pietà cristiana?

Tra i tanti articoli e commenti di ieri sull’assassinio dell’attivista Charlie Kirk, spiccavano quelli che si potevano leggere sul quotidiano dei vescovi italiani. Dove il “mai laureato” (notizia di qualche interesse?) attivista americano “nato e cresciuto nell’agiata periferia di Chicago” (vuoi mettere se fosse nato e cresciuto in una borgata povera e malfamata?), è stato ricordato come uno che: lavava il cervello.

Controversa era la sua tecnica di comunicazione, modello “change-my-mind”, che consiste nell’incalzare l’interlocutore con una raffica di domande e risposte poi ripetute. Modalità, insomma, “lavaggio del cervello”. Aveva promosso “disinformazione sul Covid” (tradotto: era un no-Vax, altra colpa), e “pontificava… mescolando negazionismi climatici (intollerabile eresia contemporanea passabile di scomunica latae sententiae) a sulfuree teorie razziali (pure razzista era).

Insomma, il ritratto di una brutta persona. Quasi a voler far passare l’idea che siccome era ciò che era, per di più in un paese di pistoleri come gli Usa, se proprio la fine che ha fatto non se l’è andata a cercare poco c’è mancato. Come se la questione sia ciò che uno dice, e non la libertà di poterlo dire senza essere accoppati. Di parole di cristiana pietà sull’uomo, sul marito e padre di due figli piccoli rimasti orfani, parole che forse – dico forse – sul quotidiano dei vescovi uno se le sarebbe aspettate, manco l’ombra. Un racconto tutto e solo declinato in chiave politica, trasudante un malcelato anti-trumpismo che è l’altra faccia della medaglia di quel globalismo terzomondista che tanto piace a certi settori ecclesiali siccome lo vedono come il naturale alveo politico del messaggio evangelico. E che al giornale dei vescovi ha fatto dire che, alla fine, sapere chi ha ucciso Charlie Kirk conta poco: “Da che mondo è mondo, occorre sempre un delitto eccellente per rafforzare un potere che barcolla”.
Chapeau.