Il turismo di massa è bello ma quanti problemi comporta, il libro e le domande di Verri e Colombo

C’è stato un tempo in cui il turismo era un privilegio di pochi, un’esperienza straordinaria e desiderata – talvolta anche un po’ temuta – capace di cambiare la vita di chi partiva e di chi accoglieva. Oggi il turismo è ovunque: più destinazioni, più offerte, più eventi, più persone in movimento, più viaggi. Eppure, questa crescita ha portato con sé nuove contraddizioni. Le città d’arte sono spesso invase da folle che tolgono spazio e servizi ai residenti, i prezzi salgono sia per chi visita sia per chi vive nei centri storici, le economie locali rischiano di diventare monoculture turistiche e la promessa di una democrazia del viaggio sembra svanire dietro una cortina di esclusione, disagio e conflitto.

In uno scenario del genere ha ancora senso cercare “Più turismo per tutti?”: la domanda che si pongono Paolo Verri ed Edoardo Colombo, in un libro edito da Egea, non ha una sola risposta. Anche perché, a ben guardare, apre a sua volta molti altri interrogativi. Il turismo di oggi è davvero accessibile? È giusto, sostenibile e desiderabile inseguire una crescita senza limiti, senza regole, senza visione condivisa? Cosa cercano, davvero, i turisti di oggi? E cosa trovano? Lungi da rimpiangere i tempi del Grand Tour di Goethe, Shelley, Stendhal e dei giovani aristocratici europei, gli autori riflettono su quello che oggi è diventato un fenomeno divisivo: da un lato opportunità di lavoro, incontro, ricchezza e apertura; dall’altro fonte di tensioni sociali, aumento dei costi, perdita di identità e crisi della qualità della vita nei territori più esposti. Il viaggio proposto da Verri e Colombo parte proprio da una constatazione semplice ma spesso – soprattutto oggi – ignorata: “più” non è sempre meglio.

Più voli low cost, più piattaforme digitali, più eventi e festival hanno reso il viaggio accessibile a milioni di persone, ma hanno anche saturato i centri storici, spinto i residenti verso la periferia, trasformato le case in alloggi turistici e fatto lievitare i prezzi di beni e servizi. Le città come Venezia, Firenze, Barcellona o Lisbona sono diventate simboli di una nuova crisi urbana: quella dell’overtourism, dove la presenza massiccia di visitatori rischia di soffocare la vita quotidiana, svuotare le comunità e rendere invivibili i luoghi stessi che attraggono i turisti. Senza una regia pubblica e privata capace di pianificare, monitorare e correggere, il turismo rischia di diventare una forza distruttiva. Sono diverse le (grandi) città che si sono già mosse per introdurre limiti agli affitti brevi, regolamentare gli accessi ai centri storici, incentivare la destagionalizzazione e promuovere la partecipazione dei residenti alle scelte strategiche. Soluzioni complesse, ma necessarie per evitare che il turismo diventi una monocultura che espelle i cittadini e consuma i territori.

Ma il turismo non è solo questione di operatori e amministratori: riguarda tutti. Ed è qui che entra in gioco la responsabilità civica. I residenti sono chiamati a essere protagonisti dell’accoglienza, a costruire una cultura dell’ospitalità che non sia solo servizio, ma relazione, racconto, scambio. I turisti, dal canto loro, devono imparare a essere ospiti consapevoli, rispettosi delle regole, dei tempi, degli spazi e delle identità dei luoghi che visitano. Verri e Colombo si spingono fino a proporre l’idea di una “cittadinanza temporanea”, in cui chi viaggia si assume diritti e doveri, contribuendo al benessere collettivo.