TEL AVIV – Quanto vicino era l’Iran alla bomba atomica, quale fosse la situazione dopo che i siti del progetto nucleare sono stati bombardati e, magari, anche il tema del cambio di regime in Iran, saranno i temi portanti dei prossimi mesi. Scopriremo anche, se ce ne fosse bisogno, come hanno usato a Teheran l’ampio spazio di manovra concesso dall’Europa e dagli Usa di Obama nel momento in cui è stato firmato il Joint Comprehensive Plan of Action, JCPOA.
Un trattato mai rispettato dagli Ayatollah che con le loro centrifughe, dichiarate e no, e con i continui divieti di ispezione da parte dell’AIEA, la stampa internazionale ne ha parlato a più riprese, imperterrita ha portato avanti il lavoro verso la raffinazione dell’uranio per uso bellico. Un trattato che in questi anni non ha fatto altro che alimentare il continuo scontro fra con Israele: l’unica nazione apertamente minacciata di cancellazione dall’Iran e dai suoi proxi. Una situazione che, almeno nella parte iniziale era scontro di Intelligence ma che poi, in queste ore è sotto gli occhi di tutti, è diventato, nel momento del non ritorno, una guerra aperta. A Gerusalemme l’allarme è scattato nel momento in cui David Barnea, il direttore del Mossad, ha presentato al Primo Ministro Netanyahu il rapporto in base al quale gli iraniani stavano sfruttando il periodo delle trattative con gli americani per completare la raffinazione dell’uranio a livello militare.
Agenti sul campo avevano tracciato diversi camion che trasportavano bombole contenenti esafluoruro di uranio, gas fondamentale nella separazione degli isotopi di uranio-235 e uranio-238. Questi isotopi sono necessari per la produzione di combustibile nucleare. Tutto faceva credere che l’ultimo passo verso la bomba fosse imminente. A confermare questa valutazione c’erano nelle mani del Mossad anche diversi controlli incrociati con fonti a conoscenza della questione e le stime indicavano l’Iran vicina a ottenere armi nucleari. Per la precisione ottenere la capacità di costruire e lanciare bombe funzionanti.
Nella realtà la valutazione della situazione era più allarmante di quanto Netanyahu sapesse nel momento in cui ha parlato alla nazione. Un altro aspetto cruciale, che risultava anche da diversi rapporti dei servizi segreti occidentali, era che negli ultimi tempi gli iraniani avevano sviluppato il detonatore nucleare, un dispositivo ingegneristico altamente complesso che provoca l’esplosione del nucleo di uranio della bomba. Se a questo si aggiunge che da parecchio tempo i pasdaran avevano a disposizione la capacità missilistica per lanciare una testata di quel tipo, per Israele era giunto il momento di mettere in pratica la famosa minaccia che il Premier Benjamin Netanyahu aveva esplicitamente esposto all’assemblea generale dell’ONU nel 2012. Ricorderete il famoso cartello con la bomba e le percentuali di raffinazione che facevano passare il progetto nucleare da civile a militare. Gli attacchi precisi contro le installazioni, ma soprattutto contro gli scienziati legati al progetto nucleare, hanno dimostrato quanto il Mossad sia infiltrato nelle maglie del potere iraniano, per cui è lecito credere che se da Gerusalemme è stato dato il via allo strike il punto di non ritorno era stato raggiunto.
Per quello che riguarda il futuro deve essere la prudenza a farla da padrona. Innanzitutto non possiamo sapere se alla fine di questa guerra il regime degli Ayatollah sarà ancora al potere o se il Principe Ciro Reza Pahlavi riuscirà ad unire il popolo persiano sotto la sua guida e a riformare la nazione dopo circa cinquanta anni di dittatura. Nel primo caso vedremo presto tornare nelle strade i pasdaran con le loro motociclette e la violenza di cui sono capaci contro tutti, contro le donne in particolare. Nel secondo caso, quello che ci auguriamo sia per il bene del popolo persiano, sia per un nuovo Medioriente senza terrorismo, vedremo una nazione che, come l’araba fenice, rinascerà dalle ceneri di una delle più sanguinarie dittature dalla fine della Seconda Guerra mondiale.
