Nell’aula le deputate biancovestite oscillano mostrando disapprovazione, ma nei bar, tavole calde, Starbucks e ovunque il popolo americano stia azzannando un hamburger o una pizza, i commenti che raccolgono le telecamere delle televisioni sono per lo più entusiasti: gran Presidente, un uomo unificante, grande successo. Naturalmente i democratici, intesi come elettorato, stanno passando un momentaccio e si sentono giocati. L’effetto dell’operazione impeachment voluta da Nancy Pelosi finora ha fatto una sola vittima: il povero candidato Biden, l’ex vicepresidente di Barack Obama, quello che secondo l’accusa sarebbe stato bersagliato in maniera illegale e anzi criminale dall’uomo della Casa Bianca per farlo apparire un corrotto. Purtroppo, stando ai primi risultati dell’Iowa, pare proprio che Biden stia diventando un’anatra zoppa. E per i democratici è una rovina perché Biden è il candidato centrista che può competere con Trump, mentre una vittoria di Barnie Senders o della Warren nelle primarie costringerebbe il partito ad assumere posizioni di sinistra radicale. Perderebbero. Naturalmente a questo punto si dovrebbe parlare e lo faremo presto, del nuovo candidato a sorpresa Pete Buttigieg che è la prova della capacità americana di sparigliare e di imporre l’outsider proprio mentre scoppia il caso dell’organizzazione del caucus dell’Iowa che ha mandato a puttane l’immagine stessa del Partito democratico. Naturalmente tutti questi elementi contribuiscono oggi a ingigantire il successo di Trump che si presenta come l’imperatore in trionfo sul carro, mentre i sacerdoti sono costretti a ricordargli che è mortale. Il Trump dello speech sullo stato dell’Unione è apparso molto forte, ma potrebbe teoricamente crollare soltanto se il partito avversario trovasse un candidato con una personalità tale da stargli di fronte. Trump deride attraverso i social, pronuncia il discorso del trionfo, si attribuisce ogni merito e successo inseguito dai commentatori di sinistra secondo cui l’America è un gigante con i piedi d’argilla e che di qui a novembre lo Stato dell’Unione potrebbe diventare pessimo e The Donald vulnerabile al punto di poter potrebbe essere battuto. Tutto può essere, ma noi ci spingiamo spericolatamente verso una previsione su cui non scommettiamo molto, ma almeno una introvabile banconota da due dollari: allo stato attuale, Trump vince. Vince perché i democratici sono in confusione politica incapaci di decidere fra una politica nettamente socialista come quella di Bernie Sanders e una politica centrista ma fortemente innovativa. Questa seconda linea potrebbe essere quella vincente per un giovanotto di ottime speranze come Pete dal cognome impronunciabile (decine di sketch su come diavolo si chiama e si dice quel cognome di origine maltese) il quale però sarà buono per la prossima volta. Stavolta Buttigieg farà tutto il suo cursus honorum ma dovrà vedersela con l’establishment che è contro di lui. Se non ce la farà a imporsi, si preparerà come sempre succede ai giovani talenti presidenziali, per il prossimo giro quando i tempi saranno maturi. Oggi il tempo sembra dalla parte di The Donald, a una condizione: che da qui a novembre tutto vada bene, che non ci siano crack improvvisi e che anche l’occupazione seguiti ad andare a gonfie vele e premi per la prima volta i cittadini afroamericani, mai così stipendiati e in progresso sociale, mai così in distacco progressivo dall’apparato clintoniano del partito dell’asino.
Impeachment, Trump asfalta i dem e ipoteca la vittoria per il mandato bis
