Non sempre l’infrastruttura fa notizia. Eppure, nella cornice densa dell’evento organizzato dalla Fondazione Ottimisti&Razionali e da Open Gate Italia presso CEOforLIFE, il tema era chiaro fin dal titolo: “Data Center e Crescita Industriale – La nuova strategia italiana per l’innovazione e la competitività”.
Una strategia, appunto. Perché dietro ogni trasformazione tecnologica, dietro ogni ambizione sull’intelligenza artificiale o sul cloud, c’è un’infrastruttura fisica fatta di metallo, calore, raffreddamento, consumo energetico, terreni occupati o riqualificati. E c’è un’Italia che si interroga su dove costruirla, con quali regole, con quale visione. Apre l’incontro Laura Rovizzi, CEO di Open Gate Italia, ricordando che il tempo della retorica è scaduto. Il Paese ha bisogno di una vera politica industriale sul digitale, e questa parte – inevitabilmente – dalla componente fisica. “Non si può parlare di sovranità tecnologica se non si ha il controllo delle proprie infrastrutture”, dice. Un messaggio che risuonerà spesso nei vari interventi della giornata. Luca Beltramino, Vicepresidente di IDA, e Patrizio Rinaldi di ServiceNow raccontano una verità semplice: i data center non sono più invisibili. Consumano energia, occupano spazio, ma – se progettati bene – possono anche generare valore per i territori. L’approccio illustrato da ServiceNow è quasi chirurgico: riutilizzo di aree dismesse, raffreddamento intelligente, circuiti idrici chiusi, elettricità da rinnovabili. “Nel 2019 abbiamo già raggiunto il 100% di energia green. Il prossimo passo? L’impatto zero.”
Ma il vero nodo, come sempre in Italia, è l’interlocuzione con il territorio. Marco Borgherese di Activa Digital e l’avvocato Carmen Chierchia (DLA Piper) portano sul tavolo l’esperienza concreta: il tempo medio per autorizzare un data center è incerto, diseguale, talvolta ingestibile. Le amministrazioni locali spesso non hanno gli strumenti tecnici per comprendere cosa stanno valutando. “Portiamo urbanisti, ingegneri ambientali, esperti di VIA. Dall’altra parte, troviamo un geometra. Il dialogo si spezza prima ancora di iniziare.” E mentre a Roma si parla di edge computing e intelligenza artificiale, nelle province italiane si fatica a capire cosa siano questi “contenitori di dati”. Serve, dicono, una legge quadro nazionale. Non per centralizzare, ma per creare linguaggi condivisi. Poi prende la parola Giulia Gasparini, Country Manager di AWS Italia. Racconta una storia che riguarda da vicino le PMI italiane: il cloud può essere la leva che azzera le distanze, ma solo se viene compreso, adottato, interiorizzato. “In Italia – spiega – il problema non è solo tecnologico.
È culturale. Le imprese non hanno personale IT. Serve formazione, accompagnamento, fiducia”. E avverte su un rischio: nuove regolazioni pensate male potrebbero penalizzare i provider di servizi CDN e rendere l’Italia meno attrattiva per gli investimenti internazionali. “In un’Europa che guarda al Mediterraneo come crocevia strategico, non possiamo permetterci errori di impostazione.” Il professor Stefano Salsano, dell’Università Tor Vergata, ci porta in un futuro molto prossimo. Parla del progetto RESTART, finanziato dal PNRR, che immagina un’Italia fatta di nodi distribuiti, data center localizzati anche in piccoli comuni, a pochi chilometri dai luoghi in cui si genera il bisogno.
È una visione radicale ma concreta: meno latenza, più efficienza, più resilienza. “Immaginate – dice – un’auto a guida autonoma che può accedere a un’infrastruttura di calcolo a 2 millisecondi di distanza. È lì che ci stiamo muovendo”.
Sul tavolo non sono rimasti solo spunti. I partecipanti hanno chiuso l’evento elaborando un pacchetto operativo da sottoporre al Ministro Adolfo Urso, che si è interessato ai lavori anche se non presente fisicamente. Tre i punti chiave: estendere il modello Fast Track a tutti i progetti di data center che rispondano a criteri ambientali e tecnologici chiari; prevedere incentivi indiretti per chi investe nella riqualificazione urbana, nell’efficienza energetica e nella distribuzione territoriale delle infrastrutture; evitare sovraccarichi normativi che rischiano di trasformare l’Italia in un Paese complesso e poco competitivo.
In fondo, il punto più profondo emerso dal dibattito è che serva una nuova narrazione. I data center non sono solo “consumatori di energia”.
Sono ciò che permette al digitale di esistere. Possono restituire valore, occupazione, intelligenza e progresso. Ma solo se i territori li comprendono, li accettano, li accompagnano. Solo se la politica sa interpretarli non come un fastidio tecnico, ma come un asse portante della nuova sovranità nazionale. Serve visione. Serve coordinamento. Ma soprattutto serve consapevolezza. Perché, come ha ricordato qualcuno tra gli applausi finali, “non c’è intelligenza artificiale senza un luogo dove farla vivere”.
