Il caso
Inchiesta Milano, invasione delle toghe nella politica: quando il merito delle scelte viene messo in discussione
Come ha scritto Filippo Sgubbi in un lepidus libellus Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa. Venti tesi, edito da Il Mulino, il diritto penale è divenuto ancora di più totale “perché ogni spazio della vita individuale e sociale è penetrato dall’intervento punitivo che vi si insinua”. Totale “perché anche il tempo della vita individuale e sociale è occupato dall’intervento punitivo che, quando colpisce una persona fisica o giuridica, genera una durata della contaminazione estremamente lunga o addirittura indefinita, prima della risoluzione finale”. E ancora, totale “soprattutto perché è invalsa nella collettività e nell’ambiente politico la convinzione che nel diritto penale si possa trovare il rimedio giuridico ad ogni ingiustizia e a ogni male”.
“L’apparato penale – scrive ancora Sgubbi– costruito per definire l’area dell’illecito e per legittimare l’applicazione delle sanzioni, diventa il supporto per l’adozione di scelte decisionali di governo economico-sociali”. La “distorsione istituzionale” viene così spiegata: “la decisione giurisprudenziale diventa – secondo l’autore – una decisione non soltanto di natura legislativa, quale regola di comportamento, ma anche di governo economico-sociale imperniato sull’opportunità contingente”. Ma la critica “le norme penali così assumono un ruolo inedito. Sono fattori non di punizione, ma di governo” non si ferma qui. “Il sequestro di aree, di immobili, di un’azienda o di un suo ramo, il sequestro di un impianto industriale e simili incide direttamente sui diritti dei terzi. Con tali provvedimenti cautelari reali – prosegue Sgubbi – la magistratura entra con frequenza nel merito delle scelte e delle attività imprenditoriali, censurandone la correttezza sulla base di parametri ampiamente discrezionali della pubblica amministrazione e talvolta del tutto arbitrari”.
Di questi sviamenti di potere si potrebbe elencare una lunga casistica in diverse materie. Come la recente vicenda dell’inchiesta scoppiata a Milano sulla qualificazione delle aree urbane dismesse. Nel caso di Milano, la procura per antonomasia, erede di quella che ha riscritto trent’anni or sono la storia dell’Italia, si è assunta il compito di condizionare la politica urbanistica di una grande città europee proiettata a svolgere un ruolo internazionale a livello di Londra o Parigi. Una città che attraverso le sue amministrazioni ha saputo seppellire le grandi fabbriche che ne facevano la capitale della metallurgia (ben più di Torino) senza trasformarsi in una comunità fantasma occupata a compiangere un passato glorioso e a vivere di assistenza. Milano ha saputo trovare delle nuove convenienze che hanno portato benessere ai suoi cittadini e che hanno aperto le porte della città al mondo. In ambedue i casi la politica ha delle gravi responsabilità. Così anche le organizzazioni sindacali.
Nella vicenda di Milano abbiamo assistito alla pagliacciata dell’accantonamento al Senato del provvedimento definito “Salva Milano” che la Camera aveva approvato con un voto bipartisan su richiesta del sindaco Giuseppe Sala e del Pd. È bastato qualche rumore molesto proveniente dal Palazzo di Giustizia per mettere paura a tutti, persino agli uffici amministrativi tenuti a dare risposte ai cittadini. L’edilizia è ferma, gli edili non lavorano, le famiglie che avevano versato congrui anticipi si aggirano nei cantieri fatiscenti come se fossero a Gaza. L’approvazione della leggina non avrebbe risolto i problemi, perché la procura ha sparato col bazooka della corruzione. Di fronte alle questioni in ballo è doveroso aspettarsi dal governo e dalla maggioranza una prova di responsabilità, senza confondersi con il ruolo nefasto di Conte e compagni.
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