Giustizia
Inchiesta Milano, la lotteria dell’indagato. Domani a chi tocca?
In attesa dell’esito delle indagini sui 74 indagati di Milano sembrano emergere due elementi, entrambi poco rassicuranti. Il primo riguarda una sorta di lotteria dell’indagato. Una riffa. Un’alea che sconfessa uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di ogni Stato di diritto: l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Ci sono cittadini che appena raggiunti da un avviso di garanzia devono farsi da parte, devono andarsene, devono essere considerati colpevoli. Altri per i quali scatta, per una congiuntura favorevole a loro (forse sfavorevole per la Giustizia, se ci fosse ancora una G maiuscola da usare), una sostanziale impunità, preventiva. Il pendolo sfinito tra garantismo e giustizialismo ondeggia sulla spinta di interessi di parte e di imponderabili previsioni. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, non è accusato di “robetta”. Ma giustamente si invocano le indagini, gli accertamenti, e in buona sostanza quel principio inderogabile che vuole tutti innocenti fino a quando non si è giudicati colpevoli al terzo grado di giudizio. Il repertorio che contraddice il garantismo – legittimo e auspicabile sempre – di cui gode Sala e gli altri 73 indagati di Milano, è infinito.
La magistratura, non la stampa
Federica Guidi forse è stata dimenticata, ma nel 2016 si dimette da ministro per lo Sviluppo economico (Governo Renzi) perché la stampa (diciamo sempre la stampa, ma dovremmo sempre dire la magistratura come fonte unica e inevitabile) fa conoscere delle intercettazioni telefoniche da cui si potrebbe prefigurare un reato, peraltro mai contestato, per aver anticipato delle decisioni di Governo al suo compagno, imprenditore. Vero? Non vero? Tutto sepolto, tranne le dimissioni. Josefa Idem potrebbe essere ricordata solo per essere stata una grande campionessa sportiva (oro olimpico nel kajak). Enrico Letta la chiama a far parte del suo Governo, nel 2013. E poi la induce a dimettersi perché a suo carico si vociferano irregolarità nel pagamento di oneri previdenziali e nella gestione del suo patrimonio immobiliare, da cui deriverebbe, forse una mini-evasione Ici e Imu. Vero? Non vero? Tutto dimenticato, tranne le dimissioni. Maurizio Lupi inciampa in un regalo (forse) di un imprenditore a suo figlio. E si “deve” dimettere. Francesco Storace, indagato per il “Laziogate” si deve dimettere, e poi sarà assolto. Poi. Così Clemente Mastella, dimesso e poi assolto. L’elenco è sterminato. E parliamo solo di ministri.
Che cosa rende diversi questi casi da quello di Beppe Sala e “compagni”? Perché il sindaco di Milano può godere dell’auspicabile garantismo, mentre tutti questi altri – e molti altri ancora – sono stati vittime di un giustizialismo cieco e senza vergogna? Una riffa. C’è chi si trova al posto giusto al momento giusto e chi invece nel posto sbagliato al momento sbagliato. Un po’ poco per poter confidare nella Giustizia. Con la stessa intermittenza funzionano le invocazioni dei politici: una su tutti, Daniela Santanché. Garantista per Beppe Sala e giustizialista decine e decine di altre volte (contro Bonafede, Azzolina, Tridico, Terzi… Fanpage ha provato a mettere in fila tutte le richieste di dimissioni avanzate dalla ministra del Turismo, ma forse ne ha dimenticata qualcuna).
Oltre il terzo potere
Sono cose che succedono perché la politica è l’arte del possibile, e quindi anche l’arte del conveniente? Può darsi. Ma succede anche perché da anni (decenni) la politica ha ammesso che la magistratura potesse andare oltre il suo terzo potere: suggerendo al potere legislativo, contrastando il potere esecutivo e saccheggiando la presunta autonomia di quel quarto potere, non definito da norme e decreti, ma da sempre immaginato come “guardiano” indipendente: la stampa.
E arrivando alla magistratura, veniamo al secondo elemento poco rassicurante, emerso in questo esordio di inchiesta milanese. Mattia Feltri l’ha efficacemente riassunta così: «La dottrina, quasi eversiva ma senz’altro efficace, è che, per non finire inquisito, il sindaco deve lasciar fare il sindaco all’inquisitore». La sintesi di Feltri segue la lunga intervista che Gabriele Albertini, sindaco di Milano dopo Tangentopoli, ha concesso al Corriere della Sera, nel corso della quale ha svelato il mistero della sua amministrazione senza macchia, nonostante i miliardi di investimenti in opere pubbliche meritoriamente sviluppati. Il mistero è semplice: l’accordo preventivo con il capo della Procura di Milano, Borrelli, il capo del pool Mani Pulite. Ogni nomina, ogni incarico, ogni appalto era vigilato dalla Procura: Albertini portava le proposte, Borrelli emetteva il giudizio, ma non quello che ci si aspetterebbe da un magistrato, bensì quello che riguarda il capo di un Esecutivo “ombra”. Andavano avanti solo i cittadini “al di sopra di ogni sospetto”. Nessun eco del film di Elio Petri degli anni Settanta. Solo il cambio sostanziale della Costituzione: nessuno è innocente prima di una indagine della magistratura; e nessuno è uguale all’altro davanti alla Legge.
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