Inchiesta Milano, non bastano polveroni o magistrati “eroi”: la politica smetta di consegnare le chiavi delle città ai tecnici

Nella vicenda milanese, si guarda agli effetti e non alle cause. Si raccontano arresti, abusi, opacità, ma nessuno dice perché siamo arrivati qui. Da anni la politica ha scelto di fare a meno della partecipazione dei cittadini, considerata lenta e complicata. In nome dell’efficienza, ha svuotato i consigli comunali, marginalizzandoli proprio nelle scelte urbanistiche più strategiche, consegnando le chiavi delle città a tecnici nominati dal Sindaco che gestiscono varianti e strumenti attuativi con ampia autonomia. Il risultato? Unaamministrazione negoziata, dove il dialogo è tra uffici e operatori privati, mentre il dibattito pubblico – il vero anticorpo contro gli abusi – resta fuori dalla porta.

A questo si aggiunge una legislazione urbanistica nazionale che ha prodotto un groviglio di norme “eccezionali”: decreti salva-tutto, condoni, deroghe per interventi strategici o di rigenerazione urbana. Senza dimenticare lo scellerato Titolo V, che ha consentito alle Regioni di legiferare in ordine sparso, con norme permissive. Una nuova legge quadro? Mai fatta. Centrosinistra e centrodestra hanno preferito mantenere questa giungla normativa per tenere sotto traccia condizioni di comodo. Così si è smontato il rapporto tra pianificazione e gestione del territorio: i piani regolatori ridotti a carta straccia, aggirabili con una scorciatoia o una deroga. Così le urgenze diventano regole. E i cittadini? Sempre meno informati ed ignari.

Così in tutta Italia – non solo a Milano – troviamo migliaia di edifici sotto sequestro giudiziario senza che nessuno dia giustificazioni: sigilli messi a danno fatto, quando il cemento è già lì. Poi arrivano i processi, e i giudici bloccano tutto o lasciano correre. Intanto le città cambiano volto senza che nessuno, tranne pochi addetti ai lavori, ne abbia discusso davvero. È la solita recita: finta indignazione, qualche nome sui giornali, nessun cambiamento. È la pantomima dei politici che gridano allo scandalo contro “quelli di prima”, per poi fare le stesse cose al turno successivo. L’urbanistica è un settore vitale, che muove miliardi di investimenti, incide sui risparmi delle famiglie, plasma la coesione sociale. Governarla con tecnicismi opachi e deroghe emergenziali significa spingere le città verso un futuro diviso: quartieri-ghetto per i poveri, recinti per il ceto medio, enclave di lusso per i ricchissimi.

Se le classi dirigenti vogliono dimostrare di essere all’altezza, smettano il teatrino e si occupino di due cose: una legge quadro per l’urbanistica e il ripristino della responsabilità degli organismi elettivi. I tecnici – schermo ipocrita di eventuali traffici – non sono una soluzione degna di un Paese evoluto. Le decisioni e il controllo devono tornare ai consigli comunali, che hanno il dovere di informare e coinvolgere le comunità.
Non è nostalgia: è un appello alla politica vera. Non bastano polveroni o magistrati “eroi”. Serve riportare trasparenza, equilibrio e responsabilità democratica in un settore che decide il destino delle nostre comunità.