Inchiesta Milano, parla l’avvocato di un imprenditore: “Il Comune continua a ribadire la legittimità dei titoli. Presunzione di innocenza? Passata in secondo piano”

L’avvocato Andrea Soliani assiste uno degli imprenditori sottoposti ad indagine nell’inchiesta milanese sull’urbanistica.

La sensazione diffusa, alimentata dalla stampa, è che a Milano negli ultimi anni siano stati rilasciati titoli edilizi illegittimi, funzionali agli interessi di speculatori e, in taluni casi, frutto di un sistema corruttivo. Qual è la sua valutazione? Che clima si respira oggi in città su queste vicende?

Il primo filone d’indagine si è aperto nell’ottobre 2022 con il sequestro d’urgenza di un immobile, disposto dalla Procura, sul presupposto che la costruzione violasse specifiche previsioni del Piano di Governo del Territorio allora vigente. È la vicenda, spesso richiamata dai media, del cosiddetto “palazzo costruito nel cortile di piazza Aspromonte”. Eppure, sia il Giudice per le indagini preliminari, sia il Tribunale del riesame, sia la Corte di cassazione hanno chiarito – seppur nell’ambito cautelare – che quell’area non poteva qualificarsi come cortile e che, dunque, non vi era alcuna violazione della norma contestata. Hanno inoltre riconosciuto che l’operatore immobiliare aveva agito in piena buona fede, interloquendo con trasparenza con la pubblica amministrazione e ottenendo un titolo edilizio mai messo in discussione né dal Comune di Milano né dalla giustizia amministrativa. La narrazione mediatica, tuttavia, non mi pare abbia dato il dovuto rilievo a queste decisioni. Tant’è che, ancora oggi, diversi giornalisti continuano a definire la vicenda come quella dell’immobile “costruito nel cortile” – cortile che appunto non è tale, per i giudici che si sono pronunciati.
Dal 2023 si sono poi sviluppati ulteriori procedimenti, per presunti interventi in aree definite come “cortili” o per titoli rilasciati, secondo la Procura, interpretando erroneamente alcune norme urbanistiche. Da qui la narrazione mediatica, che ha amplificato l’impostazione accusatoria secondo cui, a Milano, gli operatori immobiliari – in concorso con funzionari comunali – avrebbero per anni ottenuto titoli edilizi illegittimi, conseguendone ingenti profitti. Il punto è che la fondatezza dell’ipotesi di una sistematica irregolare interpretazione della normativa non è affatto scontata. Il Comune di Milano, sin dall’avvio delle indagini, ha sempre escluso un uso distorto della disciplina di settore e, anche di recente, ha ribadito – richiamando ulteriori pronunce della giustizia amministrativa – di aver rilasciato solo titoli pienamente legittimi. Ciononostante, la narrazione mediatica è apparsa, perlomeno a mio modo di vedere, costantemente sbilanciata sulla prospettiva accusatoria e, con l’estensione delle contestazioni a ipotesi di corruzione, l’opinione pubblica ha trovato ulteriore motivo per assumere un atteggiamento ancor più colpevolista.

In una recente intervista, il Presidente del Tribunale di Milano, dott. Roia, ha affermato che sarebbe opportuno aprire un tavolo per risarcire i cittadini e promuovere una sorta di giustizia riparativa. Non può apparire come una anticipazione di condanna?

All’indomani degli ultimi arresti, il Presidente del Tribunale ha effettivamente rilasciato un’intervista, in cui avrebbe dichiarato che “a causa dell’interpretazione sbagliata di una serie di leggi – ormai lo possiamo dire – si è arrivati a costruire in assenza di permesso” e avrebbe ipotizzato la creazione, da parte del Comune di Milano, di un tavolo per spiegare a chi ha presentato esposti che, piuttosto delle confische, sono preferibili ristori economici, sottolineando l’esigenza di tutelare anche le famiglie che hanno investito nell’acquisto di immobili in costruzione. Il giorno successivo ha in parte rettificato, precisando che non intendeva entrare nel merito della legittimità dei provvedimenti amministrativi.
Il punto, a mio avviso, è che simili dichiarazioni consolidano nell’opinione pubblica l’idea che a Milano si sia costruito senza validi permessi, prima ancora che i processi abbiano luogo. Ma siamo soltanto di fronte a un’ipotesi accusatoria: i processi devono ancora celebrarsi e prenderanno il via con il Comune di Milano che continua a ribadire la legittimità dei titoli rilasciati e gli operatori immobiliari che insistono nel rivendicare di aver agito in piena trasparenza, seguendo le regole applicate dall’amministrazione. Del resto, cosa avrebbe dovuto fare il privato cittadino, in possesso di titoli rilasciati dal Comune e mai contestati davanti alla giustizia amministrativa? In questa vicenda, il processo mediatico si è imposto come protagonista, arrivando addirittura al punto di registrare dichiarazioni del vertice del Tribunale locale allineate all’ipotesi accusatoria prima della celebrazione dei processi. Preoccupa molto che la presunzione di innocenza, che avrebbe dovuto essere la protagonista della fase investigativa, sia invece rimasta ben più che sullo sfondo.

Abbiamo letto di documenti del Comune di Milano inviati per conoscenza alla Procura della Repubblica. La magistratura requirente è in crisi di identità? Sta forse assumendo un ruolo consultivo della pubblica amministrazione?

Immagino si riferisca ad una chat del gennaio 2024, riportata da Il Sole 24 Ore, in cui l’allora assessore all’urbanistica, parlando di un incontro in Procura, scriveva al Sindaco di Milano: “Incontro con Viola e Siciliano positivo e cordiale. Loro disponibilità a continuare questo dialogo. Ho proposto un nuovo incontro fra un mese e intanto manderò una relazione spiegando cosa intendo fare col nuovo PGT. Siciliano sembra comunque perplessa sull’interpretazione di alcune norme, che a mio parere sono molto chiare”. All’epoca la Procura aveva già aperto i fascicoli per abuso edilizio e lottizzazione abusiva, ma non si aveva alcun sentore dell’indagine poi sfociata negli arresti per corruzione. Il PGT (Piano di Governo del Territorio) è uno strumento urbanistico di natura amministrativa, con cui i Comuni definiscono assetto e prospettive di sviluppo del territorio, e che deve seguire per legge un determinato iter partecipativo, con osservazioni e pareri di cittadini ed enti prima dell’approvazione. Non comprendo dunque l’opportunità di anticiparne i contenuti alla Procura – cui compete occuparsi delle indagini su ipotesi di reato già emerse – trattandosi di un atto che non dovrebbe riguardarla, sul quale non ha e non può avere alcuna competenza funzionale.

Al di là di questa indagine, esistono altri casi in cui le imprese consultano il pubblico ministero per trovare soluzioni, “sanare” le ipotesi di reato ed evitare il processo penale?

A Milano, diversi filoni si muovono in questa direzione. Si parte da provvedimenti di sequestro preventivo o da misure di prevenzione; le società coinvolte, per superare la situazione, concludono accordi con il fisco, migliorano le condizioni contrattuali dei lavoratori, adottano sistemi di controllo interni idonei a prevenire il rischio di reati. Alla fine del percorso, non si ritiene più necessario celebrare un processo sulle originarie ipotesi di reato alla base del sequestro o della misura. In questo modo le società evitano l’alea del giudizio e, soprattutto, i danni – anche reputazionali – che un procedimento penale lungo inevitabilmente comporta. Si assiste dunque a una serie di condotte rimediali, prima e senza che successivamente si ritenga di dover fare un processo. Questi i fatti; lascio ad altri riflessioni e commenti.