Il Tribunale del Riesame non ha usato mezzi termini nel motivare l’annullamento degli arresti domiciliari per l’architetto Alessandro Scandurra, uno dei principali indagati nell’inchiesta sulla rigenerazione urbana milanese. Non è chiaro “sulla scorta di quali evidenze il gip abbia ritenuto che i progetti siano stati affidati a Scandurra in ragione della sua funzione pubblica”, hanno scritto i giudici. E ancora, non c’è “alcuna prova del patto corruttivo”.
Inchiesta Milano, revocati i domiciliari a Scandurra
La “semplificazione argomentativa” dell’accusa viene bollata come “svilente”. Parole pesanti come macigni che smontano il teorema di una Milano corrotta, di una commistione malata tra politica e affari che avrebbe inquinato lo sviluppo urbanistico della città. Quando si cerca a tutti i costi di trasformare la presunta inefficienza amministrativa in reato, quando si vuole far passare la confusione normativa per corruzione sistematica, non si fa giustizia: si fa politica con altri mezzi.
Inchiesta Milano, difendersi da attacchi esterni
Certo, la politica che amministra Milano può avere i suoi limiti, ma cercare in queste responsabilità penali rapportabili alla peggiore malattia che possa affliggere la pubblica amministrazione – la corruzione – significa confondere i piani. Ed è proprio qui che si inserisce anche l’insuccesso di una buona idea come il “Patto per Milano” lanciato da Letizia Moratti. L’accoglienza tiepida, le diffidenze incrociate, i silenzi imbarazzati dimostrano che la politica milanese deve evolversi in fretta, trovare nel minor tempo possibile quella fisionomia riformista che Milano merita. Solo una politica forte, trasparente e pragmatica può ridisegnare una o diverse visioni. E solo una politica, come si sarebbe detto un tempo “alta”, può difendersi da attacchi esterni.
