Gli aspetti fondamentali dell’incontro tra Putin e Trump sono due: quello mediatico e quello riguardante i contenuti. Sul terreno mediatico Putin ha stravinto: è uscito dall’isolamento, addirittura costringendo gli Stati Uniti a riconoscere il suo ruolo decisivo sul piano internazionale. La partita che si giocherà da oggi ai mesi seguenti è tutta a carico dell’Occidente, degli Usa per un verso e dell’Unione Europea per un altro. I contenuti di un accordo futuro dipenderanno per larghissima parte dai rapporti militari tra le due parti. A quel punto ci sarà l’ora della verità: Trump dovrà prendere atto che Putin non si è piegato affatto alle sue minacce, ha incassato gli effetti mediatici dell’incontro e ha lasciato del tutto aperta la partita affidandola ai rapporti di forza sul campo.

Il futuro è affidato ai rapporti di forza militari

Il pacifismo in Europa e negli Stati Uniti è putinismo puro. Una sponda al disegno di Putin: realizzare il capolavoro di ristabilire i legami con gli Usa e ottenere sul campo una vittoria sui contenuti. Il futuro è affidato proprio ai rapporti di forza militari: se l’Ucraina riceverà decisivi sostegni militari e finanziari, potrà reggere l’attacco russo e quindi arrivare nel medio periodo a un’intesa onorevole; se invece questo supporto non ci sarà, si potrebbe aprire la pericolosa possibilità di ulteriori mosse sullo scacchiere del Nord Europa. Donald ha affrontato l’incontro con un’incredibile improvvisazione, avendo per larga parte sbagliato analisi sulle intenzioni reali del suo interlocutore e dandogli un vantaggio mediatico.

L’interesse europeo a fermare Putin

Comunque, Trump o non Trump, l’Europa ha un interesse superiore a quello degli americani nel porre il freno all’iniziativa di Putin. Lo zar vuole piegare l’Ucraina e dividere e umiliare l’Europa. Del resto, tutto ciò è visibile nell’azione che la Russia sta conducendo in Europa a tutti i livelli – politici e mediatici – con l’acquisto di uomini politici, partiti, giornali e con operazioni economico-finanziarie giocate sullo sfondo. L’incontro Putin-Trump non ha risolto la partita. L’inesistenza di un accordo reale ha avuto come coda la convocazione di una grande riunione a Washington tra Trump, Zelensky e alcuni Paesi della Ue per dare a Putin una risposta. Di certo Mosca non può chiedere che l’Ucraina le conceda territori che Putin non ha affatto conquistato nel corso di questi anni: si tratterebbe di una concessione non giustificata da nulla, né dal quadro storico territoriale né dai rapporti di forza militari.

Le due provocazioni di Putin

Vladimir ha messo sul campo due provocazioni allo stato puro: una riguarda il ruolo della Chiesa ortodossa in Ucraina e l’altra è costituita dalla richiesta di ripristinare il russo come lingua ufficiale dell’Ucraina. È evidente l’implicazione di questa richiesta: servirebbe a riaffermare i presupposti della dottrina storica sempre sostenuta da Putin, secondo la quale l’Ucraina è soltanto una regione russa. Non a caso lo zar ha definito il suo attacco militare non una guerra a uno Stato diverso, ma un’operazione militare speciale contro una popolazione riottosa che però fa parte comunque del Grande impero russo.

Le garanzie

Insomma, la questione delle questioni è costituita dalle garanzie che gli Usa e l’Unione europea saranno in condizione di dare all’Ucraina sia in sede di definizione dell’accordo sia sul piano sostanziale. Stati Uniti e Ue dovrebbero impegnarsi per una grande ricostruzione dell’Ucraina, dal punto di vista infrastrutturale ed economico. In secondo luogo, proprio per creare le condizioni della pace, l’esercito ucraino va rifornito di armi di tutti i tipi, difensive e offensive. E non va dimenticato che c’è un problema di cornice complessiva sul quale da tempo Giorgia Meloni ha avanzato una proposta interessante: l’applicazione dell’articolo 5 della Nato, che garantisce la difesa del Paese che viene aggredito.