Nel mese di agosto l’inflazione Italia si è attestata al 5,4% e al momento siamo uno dei Paesi che stanno trascinando l’andamento dell’inflazione in Europa. Prima la pandemia, poi lo scoppio della guerra in Ucraina hanno determinato shock di domanda e offerta nell’economia mondiale, modificando gli equilibri a cui eravamo abituati. Nell’ultimo decennio, la stabilità dei prezzi aveva dato certezze alle imprese e famiglie, oggi invece il peso dell’aumento dei prezzi sta indebolendo il potere di acquisto, come se fosse una tassa occulta da pagare.
A questo si aggiunge che il cambiamento climatico sta generando costi inaspettati. Fenomeni estremi, quali incendi, inondazioni e sbalzi di temperatura repentini, incidono sul prezzo di alimentari ed energia. Inoltre, le diverse forme di inquinamento riducono la produttività dei lavoratori, perché questi ultimi tendono ad ammalarsi di più. Ciò comporta più costi per tutta la collettività.
Rimandare le azioni per contrastare il cambiamento climatico può costare di più che gestire la transizione ecologica. I primi benefici saranno la diminuzione degli eventi naturali estremi e allo stesso tempo un calo delle risorse dedicate alle emergenze. Certo è che l’introduzione di “ecotasse” non aiuterebbe ad uscire dall’inflazione, perché le imprese scaricherebbero poi sui consumatori il peso fiscale sostenuto, incrementando il prezzo di beni e servizi.
Un ruolo determinante nella transizione ecologica ce l’hanno le città. Nove città italiane (Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino) stanno affrontando la sfida di neutralizzare le emissioni provenienti dal contesto urbano entro il 2030 e sono state inserite nella missione europea, insieme ad altre 100 città. Ce la faranno? Come tutti i cambiamenti, le parti coinvolte sono tante ed ognuna di essa è portatrice di istanze differenti. I Comuni devono tener conto dei propri bilanci, le imprese della logistica, il cittadino della mobilità e così via.
Chiaramente, la sfida non riguarda solo le 9 città appena citate, ma anche tutte le altre città italiane. Una delle scelte più delicate riguarda, per esempio, l’introduzione di zone a traffico limitato, che potrebbero tagliare fuori gran parte dei veicoli dalla circolazione. Pensiamo per esempio ad una famiglia che non può permettersi di cambiare l’automobile a causa di motivi economici, e ad un tratto non può più circolare in alcune aree urbane, dove si trovano servizi di pubblica utilità come scuole, ospedali e così via. Qui, gli ecoincentivi non sono sufficienti a risolvere il problema. Oppure, a zone cittadine periferiche in cui i mezzi pubblici non sono serviti con frequenza o addirittura non sono servite affatto. Ci muoviamo in bici, direte. E se si tratta di un disabile oppure un anziano che fatica a muoversi?
Le scelte per rendere le nostre città sostenibili vanno prese senza lasciare indietro nessuno e senza aumentare gli oneri per la collettività. Altrimenti, risolviamo un problema per crearne un altro. Sicuramente le soluzioni messe in campo finora, come l’introduzione di piste ciclabili non hanno contribuito molto a raggiungere gli obiettivi. Né tanto meno i famosi “bonus mobilità” per acquistare biciclette e monopattini elettrici. In alcuni casi, le piste ciclabili si sono mal conciliate con la viabilità urbana esistente, dall’altra il maggior uso di questi mezzi ha provocato incidenti più o meno gravi tra i cittadini. Sono mancate all’appello norme di sicurezza ad hoc, a cui probabilmente sì è arrivati a legiferare troppo tardi prima che ci fossero incidenti gravi per strada. Per le amministrazioni locali sono scelte complesse e mai banali, che richiedono competenza ma anche visione.
In poche parole, è il momento della buona “politica” e non quella degli slogan. Rendere “green” le nostre città, cambiandone le abitudini di tutta la comunità, è un percorso articolato e richiede tempo, se non si vogliono creare ampi divari sociali.
