Insultato sui social si uccide, ma che fine ha fatto la pietà?

Sono anni in cui la tv ha alimentato il fuoco sacro del giustizialismo, descrivendo l’Italia come un Paese di corrotti, responsabili di ogni male, insensibili e pronti a fregare l’altro. Non ci si può stupire se i cittadini, di fronte ad avvenimenti complessi, reagiscano tirando fuori lo spirito della gogna: sono allenati dai talk che vedono e dagli articoli che leggono. E mentre credono di essere rappresentanti dell’onestà, stanno uccidendo la pietà, il rispetto e anche quella democrazia che dicono di volere ma poi dimenticano nella sua sostanza profonda. Ma soprattutto dicono addio alla pietà. Ma che cosa è la pietà se non la capacità di capire l’errore altrui perché sappiamo che può essere anche il nostro? Non è un atteggiamento di commiserazione, è al contrario la capacità di identificarci con l’altro. E allora proviamo a immaginarci questa storia riavvolgendo il nastro. Gian Marco parcheggia male. Qualcuno se ne accorge e protesta non sui social, ma direttamente con la stazione dei vigili. Lui chiede scusa, fa una donazione per l’associazione nazionale mutilati e invalidi civili e, chissà, magari nel tempo va anche lì a dare una mano e riesce a vincere anche quelle paure che ha dentro e non riescead affrontare. No, non è una storia impossibile. È una storia che si può ricostruire. Ma per dire basta all’odio social, diciamo basta tutti al giustizialismo. È diffiicile, ma è l’unica strada.