Intercettazioni di Renzi pubblicate dal Fatto Quotidiano vanno al macero, il Csm: “Conversazioni senza rilevanza”

Vi ricordate? «Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace. E quindi… però l’alternativa è governarlo da fuori… sarebbe perfetto» per il Quirinale, «l’unico problema è che… bisogna aspettare agosto del 2016. Quell’altro non c’arriva, capito? Me l’ha già detto».

E poi: «C’è prima l’Italia, sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace». “L’incapace” era Enrico Letta, Giorgio Napolitano era “quell’altro”. L’autore di questo giudizio poco lusinghiero, invece, era Matteo Renzi mentre parlava al telefono l’11 gennaio del 2014 con il generale della guardia di finanza Michele Adinolfi che lo aveva chiamato per gli auguri di compleanno. Il generale era intercettato da parte dei carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) che stavano indagando, su ordine dei pm napoletani Celestina Carrano ed Henry John Woodcock, sulla metanizzazione dell’isola d’Ischia da parte della Cpl Concordia, un’azienda specializzata nella distribuzione del gas con sede in provincia di Modena.

Queste intercettazioni, inizialmente coperte da omissis, vennero trasmesse per competenza nella primavera del 2015 dalla Procura di Napoli a quella di Modena all’interno di una maxi informativa. Si trattava di «intercettazioni che non avevano alcuna rilevanza penale», dirà poi Lucia Musti, la procuratrice di Modena. Intercettazioni senza rilevanza penale ma che potevano scatenare il finimondo a livello politico, mettendo in difficoltà il Rottamatore fiorentino che era diventato presidente del Consiglio una decina di giorni dopo la telefonata con Adinolfi.

E infatti è quello che accadde quando il Fatto Quotidiano decise di pubblicarle a luglio di quell’anno. All’indomani della pubblicazione di queste intercettazioni, l’allora consigliere del Csm Pierantonio Zanettin (FI) chiese che fosse aperta una pratica per verificare «la correttezza nello svolgimento delle indagini nella gestione del fascicolo processuale e il rispetto delle garanzie a tutela degli indagati». «Il Csm non può non valutare la legittimità della divulgazione di comunicazioni tra privati», aggiunse Zanettin.

Il Comitato di presidenza del Csm, all’epoca composto dal vice presidente Giovanni Legnini, e dai capi della Corte di Cassazione, il primo presidente Giovanni Canzio e il procuratore generale Pasquale Ciccolo, diede il via libera e la pratica venne data alla prima Commissione, presieduta dalla laica Paola Balducci.

A settembre 2017 all’interno di questo fascicolo venne inserita anche una segnalazione dell’allora procuratore di Napoli facente funzioni Nunzio Fragliasso a proposito della ritardata iscrizione nel registro degli indagati, da parte di Carrano e Woodcock, del giudice milanese Rosita D’Angiolella, ora in Cassazione.

Il Csm si diede da fare interrogando decine di magistrati e acquisendo qualche quintale di documenti. Le indagini durarono anni. «Cosa è successo poi?», si domanderà a questo punto il lettore. «È stato sanzionato o trasferito qualche magistrato?». No, non è successo nulla. Il motivo? Lo scrive lo stesso Csm in una delibera votata all’unanimità la scorsa settimana in Plenum: «Le vicende esaminate sono molto risalenti nel tempo sicché vi è un difetto di attualità rispetto ad ogni eventuale ipotetica situazione di incompatibilità ambientale».

«Negli anni – prosegue il Csm – non sono state segnalate, neppure dall’attuale procuratore Melillo (Giovanni), condotte dei magistrati (Carrano e Woodcock) meritevoli di attenzione in questa sede. Inoltre – conclude il Csm – sono intervenuti decreti di archiviazione della Procura generale della Cassazione». Woodcock, infatti, era stato inizialmente condannato con la censura, poi la Cassazione aveva annullato con rinvio, ed infine il Csm lo aveva assolto con formula piena.

E l’indagine del Noe? A marzo del 2015, in piena campagna elettorale per le regionali, venne arrestato il sindaco di Ischia Giosi Ferrandino (Pd) con l’accusa di aver preso tangenti da Roberto Casari, numero uno della Cpl Concordia.

Ferrandino passò 22 giorni in carcere e 3 mesi ai domiciliari. Subito aveva dato le dimissioni ma poi decise di ritirarle, venendo anche eletto al Parlamento europeo. Casari, invece, lasciò ogni incarico nella Cpl Concordia che aveva fondato quarant’anni prima. Mentre era agli arresti, Casari fu arrestato di nuovo con l’accusa di associazione camorristica per presunti rapporti con il clan dei Casalesi per la metanizzazione, questa volta, dell’agro aversano. L’indagine, finita con una assoluzione in primo e secondo grado, era condotta dal pm Catello Maresca, candidato sconfitto alle recenti elezioni per sindaco di Napoli per il centrodestra.

Nel processo per la metanizzazione dell’isola d’Ischia, invece, Ferrandino è stato assolto a Napoli in via definitiva perché il fatto non sussiste. Casari, la cui posizione era finita a Modena, dopo la condanna in primo grado a 4 anni e due mesi, è stato condannato lo scorso settembre a 2 anni e 6 mesi con l’accusa di “istigazione alla corruzione”.

Sulla pubblicazione in questi giorni, sempre da parte del Fatto Quotidiano, degli atti dell’inchiesta sulla fondazione della Procura di Firenze, come l’estratto conto di Renzi, è intervenuto ieri il diretto interessato sulla sua enews annunciando querele in tribunale. Chissà se questa volta le tempistiche saranno migliori di quelle del Csm.