Il campo del centrosinistra, lavori in corso. Con quali prospettive? E ancora: la rottura nei 5 Stelle, la guerra senza fine e la “lezione francese”. Temi caldissimi ai quali Graziano Delrio non si sottrae. Parlamentare Pd, già sindaco di Reggio Emilia, ministro per gli Affari regionali e le autonomie nel governo Letta, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti prima nel governo Renzi e poi riconfermato nel governo Gentiloni, è stato anche capogruppo dem alla Camera dei deputati.
Dopo il terremoto interno al Movimento 5Stelle è ancora una idea valida e praticabile quella del “campo largo” di Enrico Letta?
La nostra proposta di campo largo non è una formula, un’alchimia. È stato un invito ad altre forze politiche ad un’alleanza che mettesse al centro i cittadini e i loro bisogni, che mai come oggi sono drammatici ed evidenti. Siamo reduci da due anni di pandemia, siamo dentro una gravissima crisi climatica che è anche economica ed alimentare, siamo immersi nella più grande tragedia che la politica e l’umanità possa incontrare cioè la guerra. Una guerra europea che colpisce il cuore dell’Europa, che colpisce popoli europei, in primis il coraggioso popolo ucraino ma anche il popolo russo. Le pare che in questa condizione si possa discutere di formule e alchimie politiche e non invece di sostanza e cioè di come ricostruire una società più giusta e sicura? La nostra urgenza quindi è la proposta politica. La nostra riflessione è su come restituire coraggio a famiglie e imprese che dopo anni di lutti, paure e fatiche necessitano non solo di sussidi ma di speranza. Speranza è il sentimento, la parola più importante da pronunciare. Nel dopoguerra e negli anni successivi, pur nella penuria di mezzi materiali e culturali, quello che ha determinato il grande sviluppo italiano fu la volontà di riscatto e la speranza di migliorare la condizione propria e dei propri figli. Quella volontà oggi si è infiacchita e quella speranza si è indebolita e questo è quello che mi preoccupa di più. Quindi per tornare alla domanda direi che la scissione dei cinque stelle ci spinge ancora di più a fare una nostra proposta chiara e forte al paese ascoltando giovani, pensionati, donne, lavoratori, associazioni e comuni e chiedendo loro un nuovo patto per una nuova Italia.
Di che patto si tratta?
Un patto fra garantiti e non garantiti, fra lavoratori autonomi di nuova generazione e dipendenti. Fra sindacati ed imprese. Fra terzo settore ed enti pubblici. Solo con uno sforzo collettivo, mobilitando le energie migliori del paese potremo ricostruire la speranza, riattivare l’ascensore sociale oggi bloccato. Il governo Draghi ha avuto senso politico proprio perché, per volontà del Presidente Mattarella, si è iniziata una via di riconciliazione nazionale che mettesse al centro i cittadini ed i loro bisogni. Quando riprenderà la normale dialettica fra i partiti non andrà dimenticato il dovere della responsabilità verso il bene comune e verso il rispetto reciproco. Chi si rimetterà sull’onda del populismo sarà il peggior nemico del popolo.
Lei che idea si è fatto delle ragioni politiche di fondo che hanno portato alla rottura tra Di Maio e Conte? E nel “campo largo” suddetto, c’è spazio per tutti e due?
Ho ascoltato le dichiarazioni fatte da Di Maio: mi pare abbia molto stressato la necessità di sostenere la posizione europeista e l’impostazione economico sociale del governo Draghi senza se e senza ma. Contestualmente anche Conte ha ribadito più volte di non volere mettere in crisi il governo. Sono abituato a dare peso alle parole e quindi credo che il Pd non debba avere nessun imbarazzo a continuare con loro la sua avventura di governo e a proseguire nella riflessione sulla sua proposta per il paese con chiunque interessato. A noi interessano gli italiani e le cose da fare per loro e con loro. Non mettiamo veti a nessuno su una alleanza e un patto per rafforzare l’Italia.
Le elezioni francesi e la “lezione francese”. Riprendendo un articolo di Angela Azzaro su questo giornale che molto ha fatto discutere: : in una ottica italo-europea e progressista, lei tra Mélenchon e Macron, in termini di prospettiva e di campo, chi sceglie?
Quelle elezioni ci dicono molto di come potremmo trovarci in autunno anche nel nostro paese: il prezzo da pagare per la crisi bellica e sanitaria potrebbe divenire insopportabile per le persone più fragili. E le proposte populiste radicali di destra e sinistra divenire padrone del campo insieme alla ritirata dalla democrazia vista già con l’astensione massiccia. Sono pericoli e paure reali della gente comune che ha sentito il governo non vicino e attento alla sua sofferenza. I partiti moderati francesi non hanno acceso la speranza di chi si sente escluso. “Anche nei tempi più bui abbiamo diritto di attenderci una qualche illuminazione” diceva Hannah Arendt. La nostra proposta, il nostro patto per il Paese dovrà riaccendere la speranza. La speranza di migliorare le proprie condizioni di vita non solo economiche ma anche relazionali. Va ricostruito il senso di comunità.
Come?
Con investimenti massicci su sanità di territorio e case di comunità. Con comunità energetiche (su cui il governo è in ritardo) per rendere sostenibili le bollette, con welfare e assistenza coprogettati e gestiti insieme al terzo settore. Se si fa comunità si esce dai problemi più facilmente. Non basta lo stato e non basta il mercato: bisogna nutrire e rafforzare la comunità con la cura dei beni comuni e delle infrastrutture sociali. E soprattutto ricreare speranza intorno al lavoro: con stipendi più giusti e salario minimo e sostegno a tutte le forme di lavoro povero. Ci sono troppe tasse sul lavoro e dopo i nostri interventi importanti fatti nei governi precedenti bisogna ora dare un nuovo segnale forte. È quello che Enrico Letta ha giustamente definito agenda sociale.
Lei è molto vicino alle istanze del cattolicesimo sociale più impegnate nella difesa dei più indifesi e per la pace. Non crede che le richieste avanzate da questo mondo solidale abbiano fin qui trovato poco ascolto nelle forze politiche, Pd compreso?
Tutti noi impegnati nella politica attiva dovremmo sicuramente fare di più e meglio nelle relazioni con quei mondi e quelle culture, come il cattolicesimo sociale, che si piegano e risanano ogni giorno con pazienza le ferite della disuguaglianza e dell’emarginazione, della solitudine di tanti. Il cattolicesimo popolare e democratico credo continui con mitezza e serietà a fecondare le proposte politiche dialogando con altre culture. Penso ad esempio alla grande riforma rappresentata dall’assegno unico per i figli. Il più importante investimento di sostegno alla famiglia e alla genitorialità in termini economici mai compiuto prima. E le famiglie sono ancora il nucleo che regge l’intera struttura sociale. Ma penso oggi più che mai alla pace come la nostra vera missione, il vero obiettivo da costruire e riconquistare al più presto con ogni sforzo di dialogo e comprensione possibile. Pace che non è indifferenza verso l’ingiustizia o arrendevolezza alla prepotenza ma che è coraggio di resistere alla suggestione della corsa agli armamenti e della logica del nemico da uccidere. La guerra fa tutti più poveri, nessuno vincerà. Solo la scelta coraggiosa di rafforzare le istituzioni e i poteri sovranazionali potrà difenderci dalle tragedie attuali. Dovremmo parlare di Stati Uniti d’Europa, di Europa politica e scegliere la strada che già imboccarono con coraggio i padri fondatori. L’Europa ha dato prova di unità e coraggio nella risposta alla pandemia. E anche nella risposta solidale alla aggressione ingiustificata e violenta di un paese sovrano come l’Ucraina. Ma oggi siamo ad un bivio della storia, ci è richiesto molto di più in termini di politica estera e di difesa comune. E anche nella capacità di elaborare un nuovo pensiero occidentale fondato sui diritti e la democrazia ma anche sul rispetto e la comprensione delle culture e delle ragioni degli altri abbandonando logiche di puro dominio e sfruttamento economico. Una larga parte del mondo non ama l’occidente: ne segue e ne realizza il modello consumistico ma non il modello etico e della convivenza sociale. Una nuova Europa politica potrebbe divenire punto di riferimento di molti paesi africani o asiatici che oggi si affidano alla Cina ed alla Russia
Di riforma elettorale non se ne parla più. In una intervista a questo giornale, il professor Cassese ha sostenuto, che giunti a questa situazione di impasse, la cosa più probabile è che si torni a votare con il “rosatellum”. Lei come la vede?
Onestamente mi pare difficile, in un clima così teso, creare le condizioni per un cambiamento della legge elettorale. Ci vorrebbe serenità e capacità delle forze politiche di ragionare intorno ai veri problemi: come rivitalizzare la partecipazione democratica, rafforzare il rapporto eletto elettore, garantire la governabilità e la coerenza dei programmi. Anche se in questi giorni non sembra l’aria giusta noi siamo sempre pronti a sederci.
