Iran, la Terza opzione per il Regime Change: il 6 settembre a Bruxelles una marcia verso la libertà

A fine luglio, nel cuore di Roma, al Parlamento italiano, davanti a un pubblico di importanti personalità politiche, l’opposizione democratica iraniana ha esposto la sua tesi: “Il popolo iraniano è pronto a riprendersi il proprio Paese e ha già le basi per farlo”. Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), ha pronunciato questo messaggio il 30 luglio alla Camera dei deputati e il giorno successivo al Vertice Mondiale per l’Iran Libero. Il suo messaggio è stato chiaro e senza compromessi, la Terza opzione per un Iran libero: niente guerra, niente pacificazione ma un cambio di regime da parte del popolo iraniano e della sua Resistenza organizzata.

Al Parlamento, Rajavi ha messo in guardia dal rischio di una recidiva del massacro del 1988 (quando oltre 30mila prigionieri politici vennero giustiziati in una sola estate) evidenziando le oltre 1.500 esecuzioni avvenute nell’ultimo anno e lanciando l’allarme sulla sorte di 14 prigionieri politici a rischio immediato di esecuzione. Ciò segue l’impiccagione di Behrouz Ehsani e Mehdi Hassani, sostenitori dell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI/MEK), il 27 luglio scorso, per essersi rifiutati di rinunciare alle proprie convinzioni. Il loro destino si inserisce in un cupo schema: la crescente dipendenza del regime dalla forca per mettere a tacere una società che non vuole sottomettersi.

Il giorno successivo, lo stesso messaggio ha riempito la sala del Free Iran World Summit 2025. Tra le voci internazionali di solidarietà c’erano Charles Michel, Giulio Terzi, Lucio Malan, Michèle Alliot-Marie, Íngrid Betancourt, Rudy Giuliani e molti altri importanti dignitari. Questi due importanti incontri di Roma hanno smantellato una delle scuse più compiacenti dell’Occidente per l’inazione: la menzogna che non ci sia “alcuna alternativa” al regime iraniano quando invece, da oltre 40 anni, il CNRI svolge il meticoloso lavoro di preparazione alla transizione elaborando piattaforme politiche, formando quadri, costruendo reti all’interno e all’esterno dell’Iran e articolando una visione democratica basata sul piano in 10 punti della presidente Rajavi (tra cui l’abolizione della pena di morte, l’abolizione dell’hijab obbligatorio, l’uguaglianza di genere, la separazione tra religione e Stato e un Iran non nucleare).

Il 6 settembre a Bruxelles una marcia verso la libertà

La presenza, la posizione e l’accoglienza di Rajavi nel cuore dell’Italia hanno inviato un messaggio chiaro a tutto l’Occidente: questo non è un movimento marginale, ma appartiene al dibattito politico dominante. Ed è proprio per sottolineare questa innegabile verità che il prossimo 6 settembre, a Bruxelles, decine di migliaia di iraniani da tutta Europa si riuniranno in una grande manifestazione per dare voce al popolo iraniano che chiede un cambio di regime, per chiedere ai governi europei di adottare una politica ferma nei confronti di Teheran, a partire dall’attivazione del meccanismo di snapback per ripristinare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma soprattutto per sostenere la “Terza opzione” proposta da Rajavi: no all’intervento militare straniero, no alla decennale abitudine occidentale di cercare di “dialogare” con Teheran, bensì un cambiamento democratico realizzabile solo ed esclusivamente attraverso la lotta del popolo iraniano e della sua resistenza organizzata.

L’inazione dell’Europa non fa che aggravare la crisi e incoraggiare il regime a intensificare le esecuzioni e ad accelerare la sua corsa verso le armi nucleari. Dal 2018 sono scoppiate diverse rivolte a livello nazionale, che hanno scosso le fondamenta del regime. L’Iran sta affrontando gravi crisi, tra cui lunghe interruzioni di corrente e carenza idrica. In risposta, il regime ha scatenato un’ondata di esecuzioni senza precedenti: 108 solo a luglio, 1.570 da quando il presidente Masoud Pezeshkian è entrato in carica a fine luglio 2024. Questa ondata di esecuzioni fa parte di una strategia più ampia per reprimere il dissenso e prevenire le rivolte, ma riflette soprattutto la disperazione del regime e la paura del suo stesso popolo.

Ecco perché la manifestazione di Bruxelles del 6 settembre è così importante e degna di nota. Sarà il più grande raduno di iraniani all’estero, con decine di migliaia di persone che si riuniranno per dire a gran voce che il cambio di regime non è un sogno. È una richiesta. Ed è pronto.