Iran, Omid Sarlak brucia la foto di Khamenei e “si spara” il giorno dopo. I dubbi della famiglia e i sospetti sugli Ayatollah

ALI KHAMENEI GUIDA SUPREMA DELL'IRAN

In Iran, dire quello che si pensa può costare la vita. E spesso chi paga quel prezzo non ha un nome che il mondo ricorderà. Uno di loro è Omid Sarlak, 25 anni, un ragazzo che cercava di diventare pilota di linea e che, pochi giorni fa, ha compiuto un gesto semplice e rivoluzionario: ha bruciato la foto di Ali Khamenei e lo ha sfidato pubblicamente sui social. Il giorno dopo, Omid è stato trovato morto nella sua auto, ad Aligudarz, nell’Iran occidentale, con una pistola al suo fianco. “Si è suicidato”, questo il commento ufficiale delle autorità. Ma la realtà, come spesso accade nella Repubblica Islamica, non è mai così semplice.

Iran, Omid Sarlak brucia la foto di Khamenei e si suicida il giorno dopo

Venerdì, Omid aveva pubblicato su Instagram un video in cui dava fuoco al ritratto della Guida Suprema, recitando parole attribuite allo Shah Mohammad Reza Pahlavi. Parole che risuonano come un manifesto di coraggio: “Morte ai clerici. Quanto ancora povertà, quanto ancora umiliazione. Ora è il momento di mostrarsi, giovani, e dimostrarsi”. Il giorno dopo era morto. Secondo la ricostruzione ufficiale, si sarebbe sparato. La pistola trovata nella vettura è diventata la prova, e “suicidio” l’ovvia conclusione. Nessuna indagine pubblica, nessuna autopsia, nessuna trasparenza.

La famiglia, gli amici e gli attivisti raccontano una storia diversa. I parenti sostengono di aver ricevuto pressioni e intimidazioni da parte dei servizi di sicurezza per costringerli ad accettare la narrazione del suicidio. Nonostante la paura, la rabbia per la morte del figlio è troppo forte; i familiari e tutta la comunità locale insistono sul fatto che Omid non avesse alcuna intenzione di porre fine alla sua vita. Anzi, la versione ufficiosa che circola e che, purtroppo, appare la più credibile è che Omid sia stato arrestato dai Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC), interrogato, torturato e infine ucciso.

I dubbi della famiglia e i sospetti sugli Ayatollah

Durante il funerale, la folla non ha mantenuto il silenzio imposto. Ha gridato ciò che in Iran è proibito anche solo pensare: “Morte a Khamenei”. A noi può sembrare una frase normale, nelle nostre piazze siamo abituati a molto peggio; ma in Iran pronunciare quelle parole è un atto di ribellione e di coraggio che può avere conseguenze gravissime. L’Iran è un Paese in cui le vite scomode diventano “suicidi”, oppure “malori improvvisi dovuti a cause pregresse”; lo abbiamo già visto con Mahsa Amini e altri giovani uccisi in circostanze “inspiegabili”. È impossibile, al momento, stabilire con certezza cosa sia accaduto a Omid. Ma vi sono pochi dubbi che sia solo l’ennesima vittima del regime degli Ayatollah.

Omid non era un leader, non era un comandante rivoluzionario, non era un volto noto. Era un ragazzo qualunque che ha superato la paura e sfidato il regime; e per questo ha pagato il prezzo più alto. Ecco perché la sua storia merita di essere raccontata, e il suo nome ricordato. In un Paese dove l’opinione costa la vita, i nomi come quello di Omid Sarlak non sono note a piè di pagina, sono i capitoli del cambiamento. E, un giorno, quando l’Iran potrà guardare alla propria storia senza censura, il suo gesto sarà ricordato come un atto di libertà.