Iran, quei dissidenti che attendono il cambiamento: il dibattito del Riformista

Da una parte la precisione e la cura meticolosa dei dettagli, dall’altra un attacco massiccio, ma per lo più indiscriminato. Chiuso nel suo bunker a Lavizan, zona nord-est di Teheran, la Guida Suprema Khamenei ha ribadito l’impossibilità di una resa iraniana, oltre a promettere agli Usa “danni irreparabili” se sceglieranno di entrare in guerra a fianco di Israele. Parole forti ma poco credibili, pronunciate da un capo che ha ormai perso il suo smalto. Tutto questo mentre prendono fiato e coraggio, a mano a mano che la strategia israeliana si concretizza, proprio quegli iraniani che, da decenni, aspettano un’opportunità per ribellarsi al regime degli ayatollah. Ma quanti sono? E quali scenari si prospettano per l’Iran in un momento così imprevedibile?

Il dibattito a ‘L’Ora del Riformista’

A questi e ad altri interrogativi ha provato a rispondere L’Ora del Riformista di ieri, dal titolo “Dies Iran”. All’incontro, moderato da Aldo Torchiaro, sono intervenuti Maria Luisa Fantappiè, responsabile del programma “Mediterraneo, Medioriente e Africa” dell’Istituto Affari Internazionali, Carlo Giovanardi, ex ministro per i Rapporti con il Parlamento, Marta Ottaviani, giornalista e scrittrice, Ashkan Rostami, dissidente iraniano residente in Italia e Riccardo Sessa già ambasciatore e ora presidente della Sioi. Questa non è una guerra come le altre, né per l’Iran, né per Israele e Ottaviani l’ha evidenziato dal principio: «È la madre di tutte le battaglie. Israele vuole favorire un regime change e bloccare il nucleare iraniano, perché Teheran in questo momento rappresenta il motore della destabilizzazione del Medio Oriente». Ma sul futuro dell’Iran ci sono alcune domande fondamentali da porsi: «Israele sta realmente frenando il corso della storia? E l’Iran, quando la guerra sarà finita, abbandonerà per sempre lo Stato ebraico?». Sul conflitto, Sessa ha fornito la sua interpretazione dei fatti: «Tutto quello che sta succedendo non è una sorpresa. L’elemento scatenante è stata la dichiarazione dell’Aiea ed è evidente che Netanyahu non aspettasse altro. Quello che sta facendo Bibi non è un lavoro sporco, ma serio». Poi Fantappiè è intervenuta sul piano tecnico: «Israele dà chiari segnali di avere una superiorità tecnologica e di essere in controllo di quelle che sono le sue operazioni di intelligence. Dalla parte iraniana registriamo una fragilità nella strategia politica, evidenziata anche da quanto successo in Libano e in Siria».

Iran, le voci si sollevano

A Teheran, le voci dei dissidenti si sollevano, col favore delle tenebre, per gridare contro l’ayatollah senza essere identificate. Una lunga attesa, come spiegato da Rostami: «L’opposizione si sta preparando da 45 anni per questo giorno. Questo sistema ha una forza di repressione talmente solida da essere impossibile da rovesciare senza un intervento militare. Finalmente vediamo un regime che è debole e potrebbe crollare da un momento all’altro». Giovanardi si è soffermato poi sul concetto di “guerra di liberazione” che lo Stato ebraico intende perseguire in Iran: «Quella di Israele non è una “guerra sporca”. E dire che la guerra non serve a niente, storicamente non è vero, ci sono guerre ingiuste e guerre giuste».