Italia, paese senza memoria

La Rai non ha mai voluto andare a impicciarsi troppo del nostro passato western: troppi garibaldini forse craxiani, bisogna stare attenti ai “mangiapreti” perché sua santità potrebbe dolersene, e poi non bisogna infastidire gli storici marxisti, meglio darsi al dadaumpa con le sorelle Kessler, vai più sul sicuro. Le reti commerciali sono state altrettanto prudenti e ormai non resta che sperare in Netflix - hai visto mai - che è diventato una delle maggiori fonti storiografiche e della memoria sia nazionale che internazionale. La Bbc molti anni fa realizzò la serie “Roma” sulla grande crisi istituzionale che fece cadere la Repubblica e inaugurare l’Impero, con un cast fantastico in cui Cicerone parlava come Winston Churchill e una sterminata serie in titoli di coda di personale italiano, storici, accademici, linguisti, sceneggiatori, ma che lavoravano per un prodotto destinato ai popoli di lingua inglese con risultati mai raggiunti e mai cercati. Scusatemi se uso me stesso per fare degli esempi, ma sono l’unica persona che conosco e dunque ricordo personalmente il fastidio, la noia e il desiderio di fuga che provavo da bambino quando gli adulti anziani discutevano dell’uomo di Dronero (Giolitti), dell’equivoco scambio di lettere tra l’onorevole Curlo e l’onorevole Meda, con contorno di tutti i personaggi dell’Italietta prefascista con abbondante mitologia pascoliana, carducciana e garibaldina (poco mazziniana) e molto savoiarda, tutta trattata come antologia attualissima e che invece era già decrepita e immemorabile. Oggi sarebbe ora, se qualcuno avesse il fegato di riaprire il teatro della memoria, ma sotto forma di spettacolo, come attualità, visto che i temi dell’identità nazionale, delle frontiere, dell’immigrazione, dell’integrazione e dell’assimilazione sono talmente maturi da risultare guasti. Si potrebbe partire dalla scoperta del fatto che, più o meno fino a duecentocinquanta anni fa non esisteva uno spirito nazionale e nazionalista; la gente apparteneva al suo re e alla sua religione, parlava la lingua che gli era capitata con i suoi dialetti e fino a Napoleone le appartenenze e le identità, dunque la memoria, andavano in una maniera che oggi non riusciremo a capire, così come l’arte, la comunicazione, la musica. Un gruppo hip-hop che si fosse presentato nel diciottesimo secolo, sarebbe stato subito internato in un manicomio. Fino alla Prima guerra mondiale il mondo che potremmo chiamare il nostro mondo, era dominato da un clan di teste coronate fatte di cugini, fratelli, cognati, nonni e zii. Il poeta romano Trilussa concludeva la sua “Ninnananna di guerra” ricordando che «So’ cuggini, e fra parenti non se fanno complimenti: torneranno più normali li rapporti personali». Oggi in Italia la storia non si insegna più e questa amputazione viene giustificata in vari modi, ma il fatto è che la semplice narrazione di come andarono le cose, è graffiante e controversa, è madre di altre guerre e così, sempre negli Stati Uniti, molte scuole preferiscono non affrontare la Seconda guerra mondiale perché parlare della Shoah significherebbe mettere in conflitto gli studenti di religione musulmana con quelli di origine ebraica. Quando frequentavo il liceo, il programma di storia si fermava alle “cause della Prima guerra mondiale”. Cause, peraltro, mai chiarite perché ci sarebbero parecchie cose da spiegare in quell’evento di oltre un secolo fa, come ad esempio il fatto che la maggior parte degli intellettuali della sinistra in Italia, Pietro Nenni repubblicano e futuro segretario socialista, e Palmiro Togliatti che sarà “il Migliore” dei comunisti, Antonio Gramsci fondatore del Pci, andarono in guerra volontari, come Mussolini che per questo ruppe col partito socialista e se ne fece uno suo. Una a caso, ma immaginate: che spettacoli, che sorprese, quali polemiche, conflitti, quale nuova vita della nostra storia anche per scoprire per quale accidente di motivo molte parti della storia, non soltanto italiana, sono state censurate, necrotizzate o poste sotto divieto assoluto. Verrebbe voglia di dire: ehilà, voi tutti liberi, liberali, libertari, riformisti e garantisti, unitevi – uniamoci – perché siamo ancora in tempo durante questa carestia a fare gli italiani, visto che fare l’Italia non è stata un’impresa ben riuscita.