È un quadro a tinte fosche quello che emerge dal rapporto annuale dell’Istat sullo stato dell’Italia. Il problema più sentito è quello economico, ovviamente: i poveri crescono mentre gli stipendi sono inchiodati al palo, col Parlamento e i partiti che dibattono ormai da mesi su taglio del cuneo fiscale, bonus vari, salario minimo e riforma del Reddito di cittadinanza.
Ovviamente a fare impressione sono i numeri snocciolati nel rapporto Istat. Uno più di tutti: rispetto al 2005, ben 17 anni fa, le persone che vivono in condizione di povertà assoluta sono tre volte di più, passando da 1,9 milioni a 5,6 milioni del 2021.
E fondamentale, per impedire che questo numero fosse ancora più alto, è stato il contributo di Reddito di cittadinanza, di emergenza e di inclusione. “In assenza di sussidi – si legge nel rapporto Istat – l’incidenza di povertà assoluta a livello individuale sarebbe stata dell’11,1 per cento (anziché del 9,4 per cento) e avrebbe coinvolto 6 milioni 600 mila persone, anziché 5 milioni 600mila”. Parliamo dunque di un milione di persone in più, 500mila famiglie.
“L’effetto è stato maggiore per il Mezzogiorno, per le famiglie con a capo un disoccupato, per le famiglie di stranieri, per le coppie con figli e i nuclei monogenitore“, ha spiegato Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, nel presentare il rapporto annuale 2022.
Ma l’altro fronte che emerge chiaramente dai dati pubblicati dall’istituto nazionale di statistica è quello del cosiddetto “lavoro povero” nel settore privato. Escludendo i lavoratori nell’agricoltura e quelli domestici, dai numeri viene fuori che quasi un lavoratore su tre (il 29,5%) ha una retribuzione lorda l’anno inferiore a 12mila euro, mentre per circa 1,3 milioni di dipendenti (il 9,4%) la retribuzione oraria è inferiore a 8,41 euro l’ora.
