Cominciamo col ricordare che l’aumento del 5 per cento delle spese militari entro il 2035 deciso dal vertice Nato dell’Aja è composto di due capitoli. Il primo, la “difesa principale” (in inglese “core defense”), riguarda la spesa in armamenti e stipendi dei soldati (3,5 per cento). Il secondo riguarda la spesa legata alla sicurezza, come gli investimenti in infrastrutture e cybersicurezza (1,5 per cento).
Ci troviamo allora di fronte alla “distruzione del nostro welfare”, come hanno tuonato all’unisono Elly Schlein e Giuseppe Conte? Già, ma di quale welfare parlano? Di quello che vede il 76% degli italiani dichiarare redditi inferiori a 29mila euro annui, pari a meno del 25 per cento dell’intera Irpef? Come ai suddetti dovrebbe essere noto, il suo introito è insufficiente a coprire i costi delle principali voci della spesa per protezione sociale, il cui finanziamento grava perciò sulle spalle di quei sei milioni di contribuenti che dichiarano redditi oltre i 35mila euro. Un’enorme redistribuzione di risorse di cui spesso i beneficiari nemmeno si rendono conto.
Siamo un Paese al primo posto in Europa in merito a possesso di abitazioni, autoveicoli, cellulari e sul secondo gradino del podio per numero di animali domestici. Grave, dall’altra parte, il giro di affari legato al gioco d’azzardo – legale e illegale – a tal punto da avvicinarsi alla cifra incassata dall’Irpef. L’Italia è anche un posto in cui la gente spende più di quanto viene risparmiato annualmente per i fondi pensione in letture della mano e chiaroveggenze. Quegli stessi pensionati, assistiti totalmente o parzialmente dalla fiscalità generale, sono più di otto milioni. Erano tre, invece, i milioni di persone che percepivano fino a poco tempo fa il reddito di cittadinanza, la stessa cifra di coloro che beneficiano degli ammortizzatori sociali. Ma questo non è sufficiente. Oltre il 50% dei contribuenti versa un’imposta sul reddito irrisoria. E il prezzo da pagare per garantire a questa metà il diritto alla salute, alla scuola e all’assistenza è superiore di dodici volte.
La situazione è allarmante. Negli ultimi quindici anni il numero delle persone in povertà assoluta è raddoppiato. Gran parte della povertà economica deriva dalla povertà educativa e sociale di cui soffrono quasi dieci milioni di italiani. Molti tra loro presentano dipendenze da alcol, droga, gioco d’azzardo oppure problemi di disturbo alimentare. Senza considerare poi chi viene catapultato in situazioni di difficoltà dopo aver attraversato una separazione o un divorzio. Nonostante il numero dei poveri sia in salita, non possiamo definirci un Paese povero. Tuttavia siamo un Paese dall’elevata evasione fiscale, con un’economia sommersa significativa. Tra i membri dell’Ocse siamo secondi soltanto alla Turchia nell’indice di analfabetismo funzionale. Ma i leader del campo (più o meno) largo, invece di solleticare il tratto terminale dell’intestino degli elettori con la retorica antimilitarista, se la sentono di fare finalmente un discorso di verità su uno Stato sociale che certo non va distrutto, ma riformato da cima a fondo?
