La scuola liberale trova in Andrea Orsini, deputato di Forza Italia, un grande interprete. Lunedì era al teatro Rossini, «Dalla parte di Israele», con il Riformista. Martedì ha presentato una interrogazione parlamentare per avere ragguagli sulle dimensioni della nuova ondata antisemita in Italia.
È preoccupato per l’antisemitismo che attraversa l’Italia?
«Sì, sono molto preoccupato. E voglio avere informazioni aggiornate dal Viminale. Penso che sia evidente a tutti che c’è un’ondata di antisemitismo molto forte, in tutta Europa, e anche in Italia. La cosa più inquietante è che questa ondata di antisemitismo molto spesso viene mascherata come solidarietà al popolo palestinese. Il fenomeno va monitorato, siamo davanti a una degenerazione che si sta sempre più diffondendo. C’è un ripetersi sconcertante di episodi, piccoli e meno piccoli, che danno rappresentanza a un sentimento di intolleranza. Lo vediamo in tante manifestazioni, scritte, slogan, comportamenti, in atti anche vandalici e violenti. Tutto questo deve preoccupare molto, e deve preoccupare tutti».
I Comuni e le Regioni che interrompono le relazioni con Israele, che segnale danno?
«Credo che sia una cosa profondamente sbagliata. A parte che un Ente locale, per la Costituzione, non può esprimere scelte di politica estera, e quindi si tratta di gesti perlopiù simbolici. Ma una Regione, un Comune, una realtà istituzionale italiana che interrompe i rapporti con Israele, che è una democrazia, un Paese occidentale, un Paese che ha tutti i requisiti per essere nostro partner, nostro amico, nostro alleato… farlo come gesto politico per manifestare solidarietà a Gaza o al popolo palestinese è un gesto che in realtà assume un significato opposto».
C’è una forte propaganda a favore di Gaza che proviene da Hamas attraverso i suoi mascheramenti. L’arma ibrida della disinformazione che rafforza Hamas ha dietro gli stessi attori che supportano Putin in Ucraina?
«Io credo che questa sia una delle grandi sfide dei prossimi anni. La disinformazione, la propaganda, l’utilizzo distorto dei social media, le interferenze straniere, sono tutti strumenti che vengono usati oggi come vere e proprie armi ibride. E chi li usa? Li usano regimi come la Russia di Putin, come l’Iran, come altre realtà autoritarie che vogliono indebolire l’Occidente, che vogliono dividerlo, che vogliono minarne la coesione interna. E allora la risposta non può essere solo tecnica, non può essere solo affidata agli algoritmi o alle piattaforme digitali. Deve essere una risposta politica, culturale, democratica. Serve consapevolezza: sapere che oggi anche una fake news può essere un’arma. E chi la diffonde consapevolmente, fa parte di un attacco».
Chi o cosa c’è, in profondità, dietro a questo continuo attacco?
«L’Europa e l’Occidente nascono quando si sono incontrate a Roma, Atene e Gerusalemme. Ricorda cosa diceva Ugo La Malfa: “L’Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”. E allora penso sia a suo modo coerente che chi odia l’Occidente o Israele stia dalla parte di Putin. Perché molti sono nostalgici di un sistema comunista che alla fine degli anni ‘80 ha perso clamorosamente la sfida con il nostro modo di vivere. Oggi nessuno può più difendere quel sistema perché è stato condannato dalla storia, ma il sottinteso antioccidentale che c’era allora non si è perso. Sta continuando in molti filoni culturali e di opinione. Oggi si traduce in questi fenomeni, la simpatia per Putin e l’antipatia per Israele: del resto, Ucraina e Israele sono due Paesi aggrediti. In modi diversi e con capacità di difesa diverse, ma sono due Paesi la cui esistenza viene oggi messa in discussione da chi avversa la democrazia liberale».
L’asse Russia-Iran, d’altronde, è univoco…
«E non a caso i russi in Ucraina usano droni di fabbricazione iraniana».
E allora dovremmo forse fare di più anche noi europei, sul fronte della Difesa. Occorre un aumento delle spese militari. Rispetteremo l’obiettivo del 5%?
«Il termine concordato in Europa per arrivarci è di dieci anni. Un termine ragionevole: se anche disponessimo delle risorse economiche domani mattina, non ci sarebbe la possibilità tecnica di produrre subito tutti i sistemi d’arma necessari. E non ci sono ancora le condizioni per mettere a sistema le diverse declinazioni dell’industria della Difesa. Mentre adeguiamo gli arsenali, dobbiamo correre anche sul fronte delle minacce cyber. Questa rinnovata esigenza di dover provvedere a noi stessi, alla nostra Difesa, alla nostra Intelligence, alla nostra capacità analitica e predittiva, ci mette davanti a una sfida che voglio leggere anche come grande opportunità. L’Europa, il soggetto che esprime la presenza dei nostri valori e delle nostre idee sul piano delle sfide globali, adesso deve giocare in campo da protagonista. La forza militare europea era finora modesta: adesso dobbiamo assumere una politica di Difesa univoca, e per farlo dovremo dotarci di una politica estera comune».
Una politica estera di valori.
«L’Europa si confronterà con il mondo sulla base di modelli di civiltà. Esistono visioni ideologiche, come quella dell’Islam politico che diventa teocrazia, che collide con la nostra visione di società. Dobbiamo andare d’accordo con tutti ma affermare la nostra identità: per noi le ragazze nate a Stoccolma, Teheran o San Francisco devono avere gli stessi diritti, le stesse libertà e le stesse opportunità, in tutto e per tutto».
E vale anche per le ragazze di origine straniera nate a Roma, Napoli e Milano. Parlo dello ius scholae: Forza Italia farà battaglia per i loro diritti?
«Io credo che il tema della cittadinanza sia un tema serio, importante, che va affrontato con equilibrio. Personalmente sono sempre stato favorevole allo ius scholae, cioè all’idea che un ragazzo cresciuto in Italia, che ha fatto un percorso scolastico nel nostro Paese, che parla la nostra lingua, che condivide i nostri valori e la nostra cultura, debba poter essere considerato italiano. Andare a scuola dall’asilo alle superiori significa anche essersi integrati in un sistema complesso, di relazioni sociali, di attività culturali e sportive che durano anni. Non è burocrazia, è vita vera. Però quando si arriva a votarla, non deve diventare una bandiera ideologica. Bisogna trovare un punto di equilibrio, un testo condiviso, una norma che tenga conto anche delle sensibilità diverse che ci sono nel Parlamento e nella società».
Accoglierete il sostegno di altri partiti, di riformisti e centristi?
«Bisogna volerlo davvero. Bisogna mettere da parte la propaganda, l’idea di fare bandierine identitarie, e sedersi intorno a un tavolo per trovare un punto d’incontro. Io, per parte mia, sono pronto a lavorarci. E credo che anche altri, se si crea un clima giusto, lo farebbero volentieri. Però distinguiamo l’adesione ai valori dal tatticismo. Se si cavalca questo tema per provare a mettere in difficoltà la maggioranza, a incanalarsi in quelle che si intravedono come possibili spaccature al solo fine di farle esplodere, non si rende un buon servizio alla politica e tantomeno a quei ragazzi che devono vedere riconosciuti i loro diritti».
