Che libri dare a un 18enne di oggi, un po’ inappetente alla lettura ma non privo di senso critico e di curiosità culturali? Non avrei dubbi: Kurt Vonnegut (uno dei maggiori scrittori americani degli ultimi decenni, scomparso nel 2007)! Almeno: con mio figlio (ora 29enne) ha funzionato. Ho ritrovato in una libreria d’occasione Madre notte (Feltrinelli) del 1961, vagamente ispirato a Ezra Pound, diario di un americano, commediografo di successo, che negli anni 30 e 40 in Germania fece propaganda nazista. O era un agente del controspionaggio Usa? Vonnegut è eretico e popolare, sovversivo ma parla a tutti, usa la letteratura di genere (noir, fantascienza) per proporci la sua stringente interrogazione morale. Lo metto nella mia famiglia di eroi culturali.
Solo di qualche anno fa è invece Quando siete felici, fateci caso (Minimum Fax), che riunisce nove discorsi dello scrittore. Un libro scoppiettante, a metà tra Adorno e Woody Allen, tra critica della società e gusto della battuta. A volte è puro cabaret, venato sempre da una saggezza filosofica o persino da un soffio metafisico-surreale: «Quando le cose vanno bene per diversi giorni di fila, è un incidente esilarante», o «Dobbiamo costantemente buttarci giù dagli strapiombi e farci crescere le ali mentre precipitiamo». Altre volte ci imbattiamo in una riflessione sulla nostra civiltà: ciò che è andato storto è che «troppe persone obbediscono al Codice di Hammurabi» – «occhio per occhio, dente per dente» – Ogni azione violenta celebra il Codice. Unico antidoto, per un laico non credente come Vonnegut, è il Discorso della Montagna di Gesù Cristo: «di regola io ne conosco una sola: bisogna essere buoni, cazzo».
Suggerisco di adoperarlo contro i critici attuali del buonismo che con la scusa di attaccare la retorica buonista screditano qualsiasi comportamento “buono”! Così scrive Vonnegut: ciò che rende la vita degna di essere vissuta «sono i santi che mi capita di incontrare. Sono persone che si comportano in modo compassionevole e capace, a dispetto di tutto, e possono essere ovunque». Credo che ognuno di noi, almeno una volta al giorno, e pur in questo mondo di odiatori professionali, abbia esperienza di una persona del genere. La contemporaneità convulsa, il progresso tecnologico, non piacciono allo scrittore (di origine tedesca: assistette alla distruzione di Dresda da parte dei bombardamenti alleati, che raccontò in Mattatoio n.5, del 1969, il cui mantra ricorrente è “So it goes”): «non cercate di crearvi una famiglia allargata fatta di fantasmi trovati su Internet». Fino a sfiorare una visione apocalittica: «La buona terra – avremmo potuto salvarla, maledizione, ma siamo stati troppo avari e pigri». Eppure Vonnegut non dispera mai, è troppo americano per indulgere al nichilismo o alla retorica del bel tempo passato. Riferendosi alle nuove generazioni così si esprime: «non sono indifferenti, non sono apatici. Stanno solo portando avanti l’esperimento di fare a meno dell’odio».
E ovviamente sta pensando a delle minoranze, ma d’altra parte sono le minoranze a spingere la Storia. La sua è una filosofia stoicheggiante, che ci invita a concentrarci sul presente, dare valore a ciò che si ha, prestare attenzione alle piccole cose, insomma “ricordarsi di vivere”(per usare una bella espressione dello studioso di antichità Pierre Hadot). Quando d’estate erano seduti all’ombra di un melo a bere limonata lo zio Alex diceva «Cosa c’è di più bello di questo?» (“If this isn’t nice, what is?”). Ecco, se non abbiamo esperienza di momenti di concreta felicità, vissuta da soli o con altri, per quale motivo dovremmo opporci all’esistente e combattere il potere? L’unica autentica rivolta è quella che si fa in nome di ciò che ci sta a cuore e che vediamo minacciato. Di Vonnegut segnalo anche la recentissima raccolta di tutti i suoi racconti (Mondadori) – perle di intelligenza psicologica, umorismo e ritmo narrativo; un tomo corposo di cui centellinare una storia a sera. Ma da Madre notte estraggo la più bella, e direi definitiva, considerazione sulla annosa questione dell’identità: «Ognuno finge di essere quello che è, ma proprio per questo dobbiamo stare ben attenti a ciò che vogliamo fingere di essere».
