Prima della pausa estiva cominceranno a circolare proposte da includere nella manovra di bilancio 2026. Il più delle volte si tratta di ballons d’essai messi in circolazione “per vedere di nascosto l’effetto che fa”; ma prima o poi occorrerà fare sul serio cominciando a stabilire l’ammontare della manovra almeno per grandi aggregati riguardanti in particolare le spese e le relative coperture finanziarie. Quest’anno il percorso è reso più problematico fino a quando non si avrà un quadro definito dei dazi, dall’assetto dei quali potrebbe derivare l’esigenza di sostenere alcuni settori produttivi che risultino particolarmente svantaggiati dalle politiche commerciali imposte da Trump.
Vi sono comunque delle precise scadenze: una volta compiuti gli adempimenti preliminari (Def, nota propedeutica, ecc.) il primo appuntamento sarà con la Commissione europea. Il 15 ottobre deve essere inviato il testo della legge di Bilancio all’UE a Bruxelles con l’indicazione degli obiettivi da perseguire nel 2026, delle relative misure da adottare nonché della quantificazione delle risorse da impegnare. L’UE ha tempo fino al 30 novembre per esprimere un primo parere e fino alla primavera per dare il parere definitivo. Entro il 20 ottobre il governo presenterà ufficialmente in Parlamento il testo del disegno di legge di bilancio contenente la manovra, che dovrà essere approvato entro il 31 dicembre. Durante la sessione di bilancio il Parlamento può sospendere l’esame degli altri provvedimenti, soprattutto se hanno implicazioni di carattere finanziario. Nei quattro mesi dopo la pausa estiva e fino all’approvazione definita, la manovra di bilancio è al centro del dibattito non solo delle istituzioni europee e nazionali, ma anche delle forze politiche e sociali che – in occasione dei confronti con il governo e il Parlamento o con l’esercizio delle consuete forme di pressione – tentano di far valere le loro richieste in quella legge che definisce il quadro finanziario di tutto l’anno.
Se il mondo della politica e delle forze sociali sta ancora sulla linea di partenza in attesa del via, una grande organizzazione sindacale si è già messa avanti con il lavoro. L’Assemblea generale della Cgil, riunitasi nei giorni scorsi, ha già tracciato un calendario parallelo che – lo si legge tra le righe del documento conclusivo – ripercorrerà le consuete tappe destinate a sfociare in uno sciopero generale, a cui probabilmente si assoceranno gli ascari della UIL, come è avvenuto, in modo rituale e ripetitivo, negli ultimi quattro anni. Ormai il ricorso ad un’astensione generale dal lavoro è divenuta un passaggio ordinario che non ha una data fissa come gli altri adempimenti, ma si colloca in una fascia del calendario che va da metà novembre a metà dicembre in rapporto con l’iter del disegno di legge. Il governo se lo aspetta e non prova neppure ad evitare la giornata di lotta perché sarebbe inutile: la Cgil viaggia su di un binario parallelo che non si cura di incrociare quello su cui si muove il convoglio del governo. Quest’ultimo punta a varare la manovra, la Cgil a proclamare lo sciopero.
Vediamo la mappa tracciata puntualmente da Maurizio Landini nel suo articolato percorso di mobilitazione per rendere “chiara e visibile la possibile alternativa alle politiche portate avanti dal governo”. Si comincia con una campagna “certificata” (?) di assemblee in tutti i luoghi di lavoro e di iniziative nei territori che raccolgano “oves et boves et omnia pecora campi” della Via Maestra: tutto questo fervore culminerà in una manifestazione nazionale a Roma a metà ottobre. Tutti i sindacati europei sono invitati ad impegnarsi nella battaglia contro il ritorno delle politiche di austerità e il piano di riarmo; in difesa dei fondi di coesione, della Pac, del green deal, del pilastro sociale; a sostegno di politiche europee espansive alimentate da risorse comuni, sul modello NextGenerationEU (eurobond), per finanziare una strategia di investimenti e politiche industriali comuni; e individuando tutti i dispositivi necessari – blocco dei licenziamenti, contrasto alle delocalizzazioni, strumenti finanziari come il fondo Sure – per difendere il lavoro, sostenere il reddito e tutelare il sistema produttivo e industriale, minacciati dalla guerra commerciale scatenata dall’Amministrazione americana.
Come si nota, manca solo “il ginocchio della lavandaia. Il documento, poi, ricorda che nel 2026, con ogni probabilità, si terrà anche il referendum confermativo sulla “controriforma costituzionale Nordio”. Un appuntamento elettorale che – è scritto dovrà vedere l’impegno della Cgil nel contrasto a un disegno che, se venisse portato a termine, comprometterebbe l’equilibrio e il bilanciamento dei poteri previsti dalla Costituzione.
