Esperto di comunicazione e management e Direttore External Affairs and Sustainability di Windtre, Roberto Basso racconta le sue esperienze e le sfide che lo attendono.
Roberto, sei nato nel Salento, ti sei diplomato a Napoli, ti sei laureato a Torino. Immagino un viaggio ideale dalla saggia terra di Aldo Moro, che passa per la creativa patria di Antonio De Curtis, e arriva alla produttiva casa di Olivetti. Come – queste tappe – hanno condizionato il tuo modo di intendere la vita?
«Se resti tutta la vita nello stesso posto, quello diventa un bozzolo che ti impedisce di vedere quanto complessa e articolata è la realtà lì fuori. Questo peregrinare su e giù per l’Italia, con brevi esperienze all’estero, mi ha aiutato a capire che siamo tutti diversi ma in qualche modo anche simili. Che l’identità di un territorio è importante sul piano psicologico individuale, ma anche che il campanilismo è dannoso. Che mettersi nei panni dell’altro è un esercizio faticoso, ma molto molto utile. Anzi, indispensabile».
Poi questo peregrinare ti ha portato a Roma. Con Fabrizio Barca al Ministero per la Coesione territoriale, e con Saccomanni e Padoan, al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Come hai vissuto quel periodo nel Palazzo?
«Visto che va molto di moda Sinner, ti rispondo come lui: lavorare, lavorare, lavorare. Innanzitutto per capire la materia, poi per trovare il modo giusto di rappresentarla. In quegli anni il mio lavoro si concentrava sul rapporto con i media, quindi ho cercato di mettermi a disposizione dei giornalisti, con spirito di servizio. Mi ero anche dato l’obiettivo di aumentare la trasparenza, disintermediando. Per esempio ho portato un’istituzione come il MEF per la prima volta su Twitter e su YouTube».
Ma quali sensibilità ti ha lasciato la politica che pensi siano oggi utili?
«Ho sempre amato la politica perché è il “luogo” dove si decide l’allocazione del potere e il modo in cui viene usato. Ma il lavoro nei ministeri mi ha appassionato alle “Politiche”. Nella stanza dei bottoni i bottoni devi saperli riconoscere, e devi saperli usare. Perché il policy maker può fare la differenza. Può incidere concretamente sulla qualità della vita dei cittadini, sulla loro libertà, sul loro benessere. Nella professione mi sono portato questa consapevolezza, e l’impegno a trovare il punto di convergenza tra l’interesse particolare e l’interesse generale, che deve sempre essere la stella polare».
Come si gestisce il cambiamento? Dobbiamo aver paura di questa rivoluzione digitale?
«Il nostro problema, e parlo di noi scimmie nude – noi Sapiens – è che siamo conservatori per natura, spaventati dal cambiamento. Quando capisci che il cambiamento è invece la condizione naturale dell’esistenza, la “normalità”, ti conviene smettere di combatterlo. Se dobbiamo ballare è meglio imparare che cercare una sedia cui aggrapparci. Piuttosto accendi la tua curiosità, cerca di capire ciò che ti circonda, vai alla scoperta del mondo e della vita. Certo non avrai capito mai abbastanza, ma se ci provi avrai ogni giorno una motivazione rinnovata, e ogni tanto anche qualche soddisfazione. Detto ciò, siamo passati dalla generazione del telefono fisso alla generazione che fissa il telefono. Dobbiamo porci qualche domanda sull’abuso del digitale e correggere i comportamenti sbagliati».
Quanto conta la percezione, nell’era della comunicazione istantanea, su economia e politica?
«Perché, c’è altro oltre alla percezione? Scherzo (ride) ma fino a un certo punto (si schiarisce la voce e torna serio). Se non ti accontenti della risposta breve, posso aggiungere che è sempre utile andare a rileggersi il “Saggio sull’intelletto umano” di Locke. Lì si può trovare qualche risposta alla domanda “che cosa posso sapere?”».
Invece quali sono le prossime sfide delle TLC in Italia? E quali sono i valori con i quali Windtre le sta affrontando?
«La sfida nelle telecomunicazioni è di quelle semplici: ristabilire il principio basilare secondo il quale la realizzazione di un prodotto implica un costo, e di conseguenza ci deve essere qualcuno che quel prodotto lo paga. Sia per coprire i costi che per remunerare gli investimenti. Una politica fatta di follower, che si limita ad assecondare il sentiment, finisce col trovarsi in imbarazzo anche davanti a una cosa così elementare. I servizi di connettività in Italia costano poco perché nel settore c’è eccesso di capacità produttiva, e di conseguenza i prezzi sono artificiosamente bassi. I costi invece no, quelli marciano per conto loro, crescono continuamente, in un sistema pieno di vincoli, stratificato negli anni, con il risultato che l’impresa ha veramente margini di libertà esigui. Noi interpretiamo il nostro ruolo consapevoli del dovere che abbiamo di generare un margine per gli investitori, che li spinga a continuare a investire. Se ci riusciamo, gli investimenti ci permettono di creare infrastrutture capaci di migliorare il benessere dei cittadini, e la produttività delle imprese. Non mi sembra poco».
Comunicare è potere, ma anche responsabilità. Secondo te, cosa rende davvero efficace una narrazione istituzionale?
«Dovremmo prima metterci d’accordo su che cosa significhi “efficace” in questo contesto. Per me vuol dire cambiare i comportamenti degli stakeholder, fare in modo che ciò che sta intorno all’istituzione si muova in una certa direzione. Però per semplificare ti direi così: tutto dipende dal volto dell’istituzione. Che non è soltanto la persona che siede al vertice. In un ministero, per esempio, c’è sicuramente il ministro che parla ai cittadini e ai suoi colleghi ma poi c’è il capo di gabinetto che è molto influente, il capo dell’ufficio legislativo che lavora con i suoi pari, ci sono i dirigenti del Tesoro che incontrano gli investitori, poi i dirigenti delle Finanze che parlano con i commercialisti e gli altri professionisti, e così via… Per avere un impatto è necessario che questo sistema parli in modo coerente, che le persone godano di credibilità e che la narrazione sia stabile nel tempo».
Chi sono state le persone che ti hanno cambiato la vita? E invece quali letture?
«Sono molte le persone cui devo qualcosa. Sicuramente quelle che hai ricordato all’inizio. Non solo perché mi hanno trasferito una parte delle loro competenze – un bagaglio prezioso che porto sempre con me – ma soprattutto perché mi hanno dato fiducia. La fiducia è il carburante dello sviluppo personale, e un collante potente per la coesione sociale. Ecco, io mi sento in debito nei confronti di chi mi ha accolto nelle istituzioni e mi ha dato fiducia. E la cosa strana è che si tratta di un tipo di debito di cui andare fieri, perché le idee e la conoscenza ti arricchiscono senza togliere niente a chi te le dà. La riconoscenza è un sentimento fondamentale. Per quanto riguarda le letture, ci sono quelle che ti cambiano lo sguardo. Come quando impari a leggere e da lì in avanti non puoi più fare a meno di dare un significato a un insieme di segni che prima apparivano solo come scarabocchi. Al primo posto metto i romanzi di Milan Kundera: mi hanno fatto scoprire il valore della libertà attraverso il racconto della sua negazione. Ci sarebbero i classici e i classici moderni che capita di scoprire in ritardo, come lo Steinbeck di “Furore”, un racconto di una potenza straordinaria. Poi parecchi testi dei sociologi del secolo scorso, per esempio “La realtà come costruzione sociale”. Ma negli ultimi anni ho scoperto Kahneman, e ho rivoluzionato il modo in cui cerco di capire la realtà».
Prendo appunti, ma allora un’ultima cosa: sei padre di tre figli, marito e professionista esposto. Come si tiene insieme tutto questo?
«Siamo attaccati alle persone che ci circondano con fili invisibili. Questi fili si tendono e si allentano, continuamente, secondo il tempo e le attenzioni che dedichiamo a una piuttosto che all’altra. Il rispetto per gli altri e la capacità di prenderti le tue responsabilità sono due chiavi per tenere insieme tutto. Ma torno sulla questione della fiducia, che credo sia alla base di tutto nella vita. Diventare capaci di dare fiducia è un impegno, non è un’attitudine scontata. E da genitore ho capito che l’unica cosa davvero importante che possiamo fare per i nostri figli è dargli fiducia. Anzi, approfitto di questo spazio pubblico per una comunicazione privata ai miei tre figli: sappiate che ho fiducia in voi. Assoluta, e incondizionata».
