Indirizzo di casa o email, numero di cellulare o numero di carta di credito sono tutti dati che definiamo “sensibili”, attraverso cui possono essere messe a rischio la nostra privacy o sicurezza. Ma c’è qualcosa che ogni essere umano possiede e che è di gran lunga più prezioso e sensibile (ma in pochi ne hanno contezza) di qualunque altro dato: il DNA. Esempio della poca conoscenza che si ha rispetto alle potenzialità del DNA è una moda di qualche anno fa. Era il 2016 e spopolavano dei test fai-da-te del DNA tramite cui, analizzando dati di campioni di saliva, si poteva rapidamente scoprire da quali parti del mondo provenissero i propri antenati e nel 2020 il Post pubblicò un lungo articolo sulle gravissime implicazioni di questo “gioco”. Due le domande fondamentali che gli oltre 1,4 milioni di italiani che avevano eseguito il test non si erano fatte: “Che fine fanno le informazioni estrapolate dal mio DNA?” e “Queste informazioni possono essere rivendute o profilate a terzi?”.
Le intelligence però conoscono bene le potenzialità del DNA, e perciò è parso quasi scontato come la maggior parte delle fonti utilizzate dal team di giornalisti del Washinton Post per la redazione dell’ultimo articolo del progetto di ricerca China’s global leap siano agenti dell’intelligence statunitense e documenti della Commissione per la revisione dell’economia e della sicurezza Usa-Cina o del Dipartimento di Giustizia. L’articolo ricostruisce gli interessi cinesi sul DNA e spiega le prospettive e i progetti del governo per i prossimi anni. Si legge come otto anni fa il governo di Xi Jinping abbia stanziato 9 mld per divenire entro il 2025 paese leader nelle scienze genetiche, e che la Cina avesse l’intenzione di incrementare la ricerca sul DNA, almeno per obiettivi di controllo interno, lo si era in realtà capito già da alcuni anni: alcuni rapporti di Human Rights Watch segnalavano da tempo che il governo pechinese aveva avviato una campagna per la raccolta di DNA tra le popolazioni tibetane e uigure con obiettivi di “tutela della sicurezza nazionale”.
La novità, segnala il Washington Post, è che l’obiettivo cinese non è più solo interno: riguarda tutta la popolazione mondiale, perché oltre ad aver finanziato la corsa al DNA in Cina, il governo ha delegato ad aziende che con il Partito Comunista hanno fortissimi legami l’acquisizione in tutto il mondo di società di ricerca genetica e di diritti sui dati genetici dei pazienti. Tuttavia la vera accelerazione nella corsa al DNA la Cina l’ha avuta grazie al Covid-19. In piena pandemia, in venti paesi del mondo sono infatti spuntati come funghi i laboratori Fire-Eye, donati dalla Cina per rilevare il virus e sequenziarlo con estrema precisione, ma che poi si è scoperto avere capacità nel sequenziamento dello stesso genoma umano. Il BGI Group, la società cinese produttrice dei laboratori Fire-Eye, ha negato che i dati dei pazienti raccolti negli ultimi anni siano arrivati al Partito Comunista Cinese o all’esercito cinese, ma ciò sarebbe in contrasto con una legge sull’intelligence del 2017 secondo cui le informazioni acquisite all’estero da privati e imprese devono essere messe a disposizione dello stato.
La domanda sorge spontanea: quali sono gli interessi della Cina e del mondo intero sul DNA? La gran parte degli esperti esclude che nei prossimi anni si potrà avere accesso ad armi biologiche capaci di colpire gli esseri umani in base al DNA di ciascuno. È però certo che gli studi sul genoma porteranno grande vantaggio economico, soprattutto nel settore farmaceutico, ai paesi che sapranno far fruttare meglio le conoscenze. Se per ora pare sia evitato il rischio che ci si ritrovi in uno scenario simile a quello del film No Time to Die, c’è la possibilità concreta che i dati genomici dei cittadini di tutto il mondo vengano utilizzati per l’interesse di un regime che nega trasparenza, vìola i diritti umani e mette a rischio l’umanità.
