La crisi della Federazione Russa interroga le potenze occidentali, ma preoccupa soprattutto gli alleati. La Cina ha cercato sin da subito di minimizzare quanto accaduto nella lunga giornata di sabato, quando Evgenij Prigozhin ha iniziato la sua velleitaria marcia verso Mosca. Il governo cinese ha rilasciato un comunicato in cui si dice a favore della «stabilità nazionale» della Russia e ha bollato “l’incidente” tra Wagner e governo russo come qualcosa di interno al Paese. Una scelta di parole molto precisa, che denota in larga parte l’interesse da parte di Pechino a circoscrivere quanto stava accadendo a Mosca ma soprattutto a calcolare bene le mosse di Vladimir Putin. Xi Jinping ha fatto subito in modo di organizzare un vertice nella sua capitale tra il viceministro degli Esteri russo, Andrei Rudenko, e il ministro degli Esteri Qin Gang e il vice Ma Zhaoxu. L’incontro verteva ufficialmente su uno «scambio di opinioni» riguardante questioni bilaterali e regionali. Ma appare chiaro che l’obiettivo cinese fosse soprattutto quello di capire subito, e soprattutto dai diretti interessati, cosa stesse succedendo tra Rostov-sul-Don e la capitale russa. La questione per il Dragone è molto seria.
Una Russia fragile e caotica, in questa fase delle relazioni con gli Stati Uniti, è un problema di non poco conto per la leadership cinese. Xi si è esposto in maniera abbastanza chiara nel sostenere Putin in questo periodo di completo isolamento da parte dell’Occidente. Ma la cosiddetta «amicizia senza limiti» tra le due potenze poggia sul fatto che l’altro vertice di quest’asse sia un partner stabile e in grado di garantire continuità. Inoltre – e questo è un dato che appare al momento incontrovertibile – l’aura di Putin come leader intoccabile è sostanzialmente terminata di fronte alla minaccia di un potenziale golpe militare, a prescindere dalle prossime mosse.
E questo, per una Cina garantita dal presidente russo saldamente alla guida del Cremlino, e capace di gestire anche una futura successione, è un tema non secondario. Il futuro è incerto e ora Pechino guarda con più attenzione a quanto avviene al di là del confine. Il gigante asiatico non è l’unico a essere preoccupato da quanto accade a Mosca. Un altro Paese ad avere assicurato la propria fiducia a Putin ma che nello stesso tempo vede rischi oggettivi dal potenziale caos è l’Iran. Il ministro degli Esteri di Teheran, Hossein Amirabdollahian, ha avuto un colloquio telefonico con l’omologo russo Serghei Lavrov in cui ha detto di essere certo della capacità russa di ristabilire l’ordine, puntando il dito su eventuali «ingerenze straniere».
Il Cremlino, inoltre, ha dato notizia di una telefonata tra Putin e il presidente iraniano Ebrahim Raisi, in cui quest’ultimo ha espresso «pieno sostegno» al governo di Mosca. Due telefonate che confermano il grande interesse di Teheran per quanto accaduto in Russia il 24 giugno e che testimoniano la volontà della Repubblica islamica di ricevere rassicurazioni dal proprio alleato. Non è un mistero che Putin abbia stretto con gli Ayatollah una partnership di lunga data cementata in particolare nella lunga guerra in Siria al fianco di Bashar al Assad.
I due Paesi non sono sempre apparsi sulla stessa lunghezza d’onda, ma con l’invasione dell’Ucraina e l’arrivo di droni e armi iraniane alle forze russe impegnate nel conflitto, le ombre sul rapporto tra Mosca e Teheran sembrano essere completamente dissipate. Anche in questo caso, e in maniera molto più netta di quanto può esserlo per la Cina, per l’Iran è fondamentale la permanenza di Putin al Cremlino e che questa sia soprattutto assicurata quantomeno per il prossimo futuro. In questo momento la Russia è l’unica potenza dello scacchiere internazionale, a eccezione della Cina, a far sì che Teheran non sia completamente isolata. E al pari di quelle contro Mosca, le sanzioni occidentali costituiscono per la Repubblica islamica una spada di Damocle notevole per la sopravvivenza dell’attuale sistema di potere.
