La diga etiopica e l’imperialismo di Abiy che preoccupano l’Egitto

L’inaugurazione in Etiopia, lo scorso 9 settembre, della più grande diga in Africa, la Grand Renaissance Ethiopian Dam, ha suscitato una notevole attenzione da parte della stampa internazionale, sia per l’imponenza della realizzazione, sia per la capacità del “barrage” sul Nilo Azzurro di generare oltre 5000 Megawatt di energia elettrica, in un Continente dove circa 600 milioni di persone vivono ancora senza elettricità.

I media nostrani hanno messo in evidenza che essa è stata costruita quasi interamente da una ditta italiana, la Webuild (ex Salini-Impregilo), e che si tratta di un fiore all’occhiello del nostro Paese in Africa, nel quadro delle realizzazioni del Piano Mattei. Mentre siamo senz’altro di fronte a un’opera grandiosa, che dà lustro alla nostra ingegneria ed imprenditoria, essa ha in realtà ben poco a che fare con il Piano Mattei. Il progetto iniziò nel 2011 per volere dell’ex Primo Ministro etiopico Meles Zenawi, un leader di grande visione scomparso prematuramente nel 2012, e non ha comportato alcun contributo finanziario italiano, né europeo: il suo costo, di oltre 5 miliardi di dollari, è stato pagato per lo più con sottoscrizioni del popolo etiope (obbligazioni a basso costo, ed un originale sistema di lotterie), il quale ne va giustamente molto orgoglioso, e lo erge a simbolo della potenza nazionale.

La Salini, ora Webuild, è da decenni la ditta preferita per le opere idroelettriche dalla dirigenza etiopica, fin dai tempi del Negus Haile Selassie, e del dittatore marxista che gli successe, il colonnello Menghistu Hailemariam. La società italiana è stata quasi sempre retribuita dal committente etiopico, in un rapporto diretto, improntato ad una profonda fiducia reciproca, non facilmente riscontrabile in altri Paesi e con altre ditte. Costruita al confine con il Sudan, nella regione occidentale del Benishagul Gumuz (spesso epicentro di tensioni etniche locali), la Diga del Rinascimento, che ha cambiato il corso naturale del Nilo Blu, è alta 180 metri, lunga poco meno di due chilometri e contiene un bacino di circa 65 miliardi di metri cubi di acqua; il dislivello consente di generare, attraverso l’utilizzo di 13 turbine (costruite dalla francese Alstom e dalla tedesca Voith Hydro), i 5000 MW di elettricità dichiarati dal Governo di Addis Abeba, anche se ancora ne viene prodotta meno della metà.

Il leader etiope Abiy Ahmed sostiene che la diga fornirà elettricità a tutta la regione, ma in realtà la rete di trasmissione resta quasi tutta da costruire, ed è difficile che i potenziali benefici della GERD siano concretamente fruibili dalle popolazioni interessate a breve scadenza.
Ma al di là del successo tecnologico, la GERD rischia di diventare un detonatore dei delicati equilibri geo-strategici del Corno d’Africa, specie in un’epoca in cui la risorsa “acqua” diviene sempre più preziosa, in Africa e non solo. L’Egitto infatti, che ha sempre contestato la possibile alterazione, a causa della diga etiopica, dei volumi delle acque del Nilo, da cui dipende la sua economia, ha inviato una nuova nota al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: in essa lamenta la mancanza di un’intesa con Addis Abeba sulla gestione dei flussi idrici del Nilo Azzurro, nonché le decisioni imposte unilateralmente dalla dirigenza etiopica sulla questione, precisando che si tratta di un tema di vitale importanza per il Governo del Cairo e per gli oltre 100 milioni di suoi cittadini. Per il Cairo la diga rappresenta “una minaccia esistenziale”, e lo stesso Presidente Trump si è dichiarato in alcune circostanze d’accordo col punto di vista egiziano.

Anche il Sudan, martoriato da oltre due anni da una cruenta guerra civile, non ha mai condiviso il metodo non dialogante adottato dal Governo etiopico, e mantiene sostanzialmente le stesse posizioni del Cairo sulla controversia. Durante l’inaugurazione della mega-infrastruttura, il premier etiopico Abiy ha fatto ricorso a tutta la sua nota retorica di stampo messianico, sottolineando che la Diga del Rinascimento è il più grande progetto mai realizzato “dal popolo nero africano”, ed un orgoglio per tutto il Continente. Tuttavia il suo stile “muscolare” risulta sgradito a livello regionale e continentale, come dimostra anche la presenza alquanto limitata di ospiti internazionali alla cerimonia inaugurale del 9 settembre scorso. Si teme soprattutto che dopo la costruzione dell’imponente diga GERD, Abiy si possa dedicare con tutto il suo dirompente slancio all’altro progetto epocale che gli sta a cuore: aprire, eventualmente anche con la forza, uno sbocco territoriale per l’Etiopia sul Mar Rosso, ed allestire una flotta militare nazionale, infischiandosene dei dettami del diritto internazionale. Sulla questione si oppongono strenuamente Somalia ed Eritrea, ed i loro rispettivi leader Hassan Sheik e Isaias Afewerki, i quali potrebbero alla fine allearsi con l’Egitto ed il Sudan in uno schieramento regionale volto a contrastare e contenere con fermezza, anche militarmente, le ambizioni “imperialiste” dell’Etiopia e di Abiy Ahmed.

Si tratta di scenari tutt’altro che remoti, in un contesto internazionale sempre meno incline a rispettare le regole acquisite del diritto ed il metodo multilaterale, e dove tende a prevalere la legge del più forte. Anche l’Europa, che ha scelto acriticamente dopo la fine della guerra in Tigray di sostenere finanziariamente il regime personalistico del Premier Abiy, nonostante i crimini di guerra di cui è accusato, forse dovrebbe porsi qualche interrogativo sull’avvenire geo-strategico della regione, con una visione capace di andare al di là delle convenienze apparenti di breve periodo, centrate su ritorni economici tutti da dimostrare.