La crisi internazionale è serissima. Siamo sull’orlo del baratro, per dirla con Sergio Mattarella. Chi deve guidare il Paese tra secche e scogli nel maremoto delle guerre incrociate deve attrezzarsi per una navigazione perigliosa, che necessita di strumenti e capacità non comuni. Immaginiamo per un attimo che oggi al governo ci fossero gli altri. Il centrosinistra, il campo largo.

L’invito di Mattarella

Il Presidente della Repubblica invita la Flotilla a desistere dalla provocazione, fermarsi a Cipro e consentire lo sbarco in sicurezza di vivande e aiuti. I deputati di Avs, Pd e M5S a bordo si rifiutano, gli rispondono picche: «Noi andiamo avanti». Sono estremisti, viene detto: nel campo largo ci sono anche sensibilità moderate e riformiste. E allora andiamo a chiedere al dem Matteo Ricci, già renziano, le sue priorità per le Marche (al voto domani): «Se vinco, il primo giorno facciamo un gemellaggio con Rafah», ci dice. La città sotto controllo di Hamas. Una boutade elettorale, sussurrano allora. Niente di serio. Sconsolati, accendiamo la tv e in uno studio televisivo solitamente sobrio e serio, quello di Andrea Pancani, La7, assistiamo sbigottiti alla piazzata di una parlamentare, Alessandra Maiorino, 5 Stelle, che sbraita: «Israele è uno Stato criminale, terrorista!».

Spegniamo la tv, ricordandoci che era la stessa ad aver definito il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, «un influencer prezzolato da Israele». Il grado zero della dialettica politica. Cerchiamo sui giornali un segnale di raziocinio, un barlume di razionalità che possa ancora spingere un riformista a valutare il campo largo tra le opzioni elettorali. Non ne troviamo. Ed è tutta la cronaca politica della giornata a darcene conferma. Elly Schlein va a Londra ma non si trattiene: «Rafforzare il sostegno dell’Ue alla Palestina attraverso un accordo di associazione completo» scrive in un appello pubblicato sul britannico Guardian. Peccato che a Gaza ci sia Hamas, in Cisgiordania Abu Mazen, dietro ai tunnel l’Iran e nei conti correnti il denaro del Qatar: nessuno sa o può dire oggi, telefonando alla Palestina, chi risponderà. A Schlein evidentemente non importa. Né a qualcuno interessa troppo se l’autunno caldo che Landini prospetta con l’alibi di Gaza: «Se succederà qualcosa alla Flotilla, sarà sciopero generale», grida ai microfoni di tutte le emittenti che corrono a intervistarlo. Cobas e centri sociali inscenano già proteste spontanee, gli studenti organizzano le occupazioni, le università – Pisa è un caso, ma adesso c’è anche Genova – ribollono.

La Flotilla non cambia rotta

Il Viminale è preoccupato. «C’è l’intenzione da parte di alcuni di trasformare questa causa, questa vicenda in qualcosa che potrà riflettersi nelle nostre piazze. I tempi previsti per l’arrivo della Flotilla in zona critica sono pochi giorni. Oggi ho incontrato i miei collaboratori più stretti per stringere i ranghi e vedere come organizzarci nelle principali piazze italiane», ha reso noto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. «Noi siamo pronti a valutare mediazioni – dice la portavoce della Flotilla, Maria Elena Deliama non cambiando rotta. Perché cambiare rotta significa ammettere che si lascia operare un governo in modo illegale senza poter fare nulla». A stretto giro di posta, la delegazione Global Movement ha però deciso di richiamare in Italia la portavoce Delia. Presto per parlare di dietrofront. La ragione dell’incontro a Roma sta, a sentire loro, nella volontà di «dialogo diretto con le istituzioni per garantire l’incolumità dei membri italiani dell’equipaggio e il raggiungimento degli obiettivi della missione nel rispetto del diritto internazionale».

Totonomi a sinistra

Ma la gara, a sinistra, rimane tra chi grida di più. Il senso di responsabilità non abita qui. La cultura di governo nemmeno. E dopo che lo ha detto con nettezza Paolo Gentiloni, a sinistra non si è aperta una riflessione nel merito, ma un totonomi di fine estate. Silvia Salis, la giovane sindaca di Genova ex lanciatrice di martello, è il nome messo da Matteo Renzi sul tavolo. Altri hanno avanzato quello di Antonio Decaro. Michele Emiliano non è del tutto convinto dell’opzione Decaro: «Sarebbe terribile se fosse così perché chi si candida a fare il presidente della Puglia ha il massimo onore che può essere concesso a qualcuno. Sarebbe un tradimento molto pesante che io escludo perché Antonio mi ha assicurato che lui vuole fare il presidente della Regione per dieci anni, ovviamente perché sennò non si dovrebbe candidare».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.