La Francia riconoscerà lo Stato di Palestina: l’ennesima uscita impulsiva di Macron

La promessa di Macron di fare della Francia, entro settembre, il dodicesimo membro UE che riconosce lo Stato di Palestina ha una sua logica. Che poi questa sia condivisibile, è un altro discorso. Negli ultimi mesi, il presidente francese è stato prodigo sia di fughe in solitaria in politica estera sia di decisioni sorprendenti in quella domestica. Scelte che non sempre si sono rivelate fruttuose. Visto che il suo secondo mandato è in scadenza a maggio 2027 e non rinnovabile, Macron non ritiene di dover rendere conto all’elettorato. Libertà non da poco in un sistema democratico che, in teoria, dovrebbe spingere la personalità politica di turno a scelte impopolari ma necessarie, piuttosto che a quella sorta di annuncite di cui, al contrario, è affetto un ex purosangue del riformismo europeo.La nuova bordata pro-Pal va messa in fila con la recente promessa di mettere a disposizione l’arsenale nucleare francese come strumento di deterrenza comune per tutta l’Europa. Proposta abortita dai suoi connazionali – Marine Le Pen in prima fila – che all’atomica gaullista non intendono rinunciare.

Il precedente

Prima ancora c’era stata l’intenzione di inviare le truppe francesi sul fronte ucraino. Un’idea che avrebbe riportato le lancette dell’orologio indietro di due secoli, quando la Grande Armée di Napoleone veniva decimata dal generale inverno. S’intende che il problema non sarebbe rimasto ingessato a una suggestiva analogia storica: Macron sta a Napoleone come Putin sta ad Alessandro I. Gli annunci si sommano agli scivoloni veri e propri. Come la decisione motu proprio di sciogliere l’Assemblea nazionale alla luce delle europee, a giugno scorso, che si è trasformata nella picchiata di un aereo kamikaze che, invece di prendere la nave nemica, si schianta nel mare. Sconfitto dal Rassemblement national (Rn), Macron si era illuso dello scatto di orgoglio della borghesia moderata. Pensava che la Francia liberal(e) fosse più forte di quella populista e radicale. Convinzione smentita dal voto. Macron, protetto dai cancelli dell’Eliseo, non ha ricevuto neanche uno schizzo della montagna di fango che ha caratterizzato quella campagna elettorale; da destra e da sinistra, ricordiamo che il radicalismo transalpino è fatto anche della France Insoumise. Montagna che, invece, si è riversata tutta sul governo raccogliticcio e instabile che ne è seguito.

Instabilità

Con il voto di giugno 2024, infatti, Macron ha condannato il Paese a un’instabilità à l’italienne, sconosciuta sulle rive della Senna e che si è tradotta in un tandem dell’esecutivo, Barnier prima e Bayrou oggi, incapace di risolvere la metastasi del sistema pensionistico nazionale; mettere una pezza al debito pubblico; arrestare il consenso per l’Rn, soprattutto ora che è nelle mani di un giovane promessa com’è Jordan Bardella. Lunga premessa per dimostrare che l’annuncio macroniano di mandare un suo ambasciatore, vestito di tutto punto, con feluca e marsina a Ramallah – oppure a Gaza, pourquoi pas? – ci sta. Ci sta perché il presidente francese si è autoproclamato l’antitesi di Trump. E quindi anche del suo primo interlocutore nel quadrante euro-mediterraneo, Bibi Netanyahu. Ci sta perché la Francia non vuole essere da meno rispetto a quegli altri undici partner Ue che l’hanno preceduta in una scelta quantomeno azzardata. Nella lista compaiono, con sorpresa, anche Polonia e Ungheria, ma si tratta di un riconoscimento informale e che risale agli anni Ottanta. Preistoria. Ci sta anche perché Parigi non ha mai nascosto con chi preferisce stare in Medio Oriente. Khomeini trascorse buona parte del suo esilio a Neauphle-le-Château, vicino Parigi, prima di rientrare con tanto di volo Air France a Teheran. Le famiglie Assad e Gemayel, rispettivamente deus ex machina in Siria e in Libano, vantavano legami personali con Mitterand e Chirac. Per non parlare di Arafat, che proprio in Francia morì nel 2004. L’annuncio di Macron rientra nell’ordine di queste cose.

Integrazione?

Il presidente francese è ancora convinto che l’integrazione tra comunità islamiche delle banlieue e la Francia del settimo arrondissement sia possibile. Con le stesse modalità, peraltro già allora discutibili, del suo primo ingresso all’Eliseo nel 2017. Un progetto contro la destra radicale, volto anche a erodere la gauche populista di Mélenchon. Magari lasciando una legacy al prossimo leader di Renaissance, ex en Marche. Un piano, però, che ha come contropartita la rinuncia dell’amicizia con Israele e la messa in pericolo di una comunità ebraica che, dal 7 ottobre 2023 a oggi, ha contato oltre 1.500 episodi di antisemitismo.