Per la Russia, l’accordo di Sochi avrebbe dovuto portare a una soluzione per Idlib. Il ruolo della Turchia sarebbe dovuto essere quello di demilitarizzare la regione procedendo al disarmo di tutti i gruppi ribelli suoi alleati e combattere contro HTS per permettere ad Assad di avanzare indisturbato. Ma la Turchia non ha fatto nulla di tutto ciò e la sua presenza militare è diventata dunque un ostacolo alle operazioni dell’esercito siriano. In un certo senso il “processo di Astana”, che prevedeva la costituzione di 4 zone di de-escalation in Siria tra cui Idlib, si è trasformato in un groviglio di interessi contrapposti. Per districare tale groviglio i russi hanno cambiato la situazione sul campo e l’accerchiamento delle basi turche a Idlib dimostrerebbe ciò. In altre parole, Mosca sta cercando di costringere la Turchia a fare un passo indietro per non aver saputo esercitare un controllo sul campo disarmando i ribelli e combattendo le forze filo al-Qaida, lasciando spazio alle forze del regime. E inoltre Putin accusa la Turchia di aver trasferito jihadisti da Idlib in Libia affinché combattano contro le forze del generale Khalifa Haftar. L’8 gennaio a Istanbul queste questioni saranno in agenda nell’incontro tra Erdoğan e Putin. I due leader inaugureranno il gasdotto TurkStream che dal Mar Nero attraversa la Turchia, ma il presidente turco punta a chiudere al più presto un accordo con Putin su questioni che se non fossero risolte potrebbero destabilizzare il suo potere: punta ad un accordo sulla Libia, punta a garantire per la provincia siriana di Idlib una soluzione che la tuteli dal nuovo massiccio afflusso di rifugiati che premono ai suoi confini e punta a passare alla terza fase dell’operazione militare nel nordest della Siria, cioè al trasferimento di almeno un milione di rifugiati che ospita sul proprio territorio nel nordest della Siria.
La guerra tra Russia e Turchia si gioca in Siria, a Idlib 120mila in fuga
