Che nelle Regioni del Sud vi sia un’oggettiva incapacità di spendere i fondi europei nella misura e nei tempi dovuti, è un dato di fatto. Importante, però, è analizzare la qualità della spesa. E così, leggendo il monitoraggio delle politiche di coesione svolto dal Ministero delle Finanze, emerge come le Regioni del Nord puntino principalmente su istruzione e formazione, quelle del Centro sulla tecnologia e quelle del Sud sulla mobilità. Quest’ultima è una strategia vincente? «Spesso è dettata dalla necessità di accelerare per evitare il disimpegno dei fondi – spiega il manager Giuseppe Russo, esperto di programmazione europea – Servono capitale umano di qualità e tecnologia, ma soltanto al Nord e al Centro sembra che l’abbiano capito».
Partiamo dai dati relativi a Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, classificate come Regioni meno sviluppate. Qui, al 31 dicembre 2019, era stato impegnato circa il 47 ed effettivamente versato circa il 27% degli oltre 20 miliardi di euro messi a disposizione tramite Fondo sociale europeo e Fondo europeo di sviluppo rurale. Come è stata spesa questa quota di risorse? Soprattutto in sistemi di trasporto: i dati parlano dell’81% di soldi impegnati su questo fronte e del 46% di spese concretamente sostenute. L’esborso delle Regioni meno sviluppate per innovazione, istruzione e formazione, competitività delle imprese e contrasto della povertà, tuttavia, oscilla tra il 17 e il 30%. Perché, dunque, la Campania e le sue “sorelle” puntano sui trasporti, tra l’altro senza risultati apprezzabili in termini di qualità del servizio? «La motivazione è la facilità di spesa – osserva Russo – Quando si è in ritardo nella spesa dei fondi europei, le amministrazioni accelerano puntando su quei settori in cui l’esborso viene effettuato e certificato più rapidamente. Il problema è che determinati livelli minimi di spesa vanno raggiunti in tutti i settori».
Quali sono gli ambiti dove erogare risorse e certificare la spesa è più agevole? Quello dei trasporti e del risanamento ambientale, dove la regìa dell’intervento spetta alla sola Regione. Più ostici sono i settori dell’innovazione tecnologica, del sostegno alle imprese e della promozione del lavoro: qui la Regione eroga i fondi, ma è chiamata a confrontarsi e ad affiancare numerosi soggetti attuatori dell’intervento. Strategie diverse per le Regioni in transizione, cioè per Abruzzo, Molise e Sardegna. Da queste parti si investe soprattutto in tecnologia facendo registrare, su questo fronte, un 68% di risorse impegnate e circa il 43 di pagamenti effettuati. E al Nord? Qui le percentuali di fondi europei impegnati ed effettivamente versati superano rispettivamente il 65 e il 37%, ma ciò che più conta sono gli ambiti in cui si investe con preferenza: quello dell’istruzione e della formazione professionale, dove è stata sborsata quasi la metà delle risorse disponibili, e quello della ricerca e dello sviluppo tecnologico, dove i fondi erogati si attestano quasi al 42%. Perché al Nord e al Centro si può investire in settori più “difficili”? Perché le Regioni dispongono di una struttura amministrativa più qualificata, rapida ed efficiente, quindi in grado di gestire situazioni complesse. «Puntare sui trasporti è utile per ridurre il gap infrastrutturale e velocizzare la spesa dei fondi europei, ma è una scelta miope nel lungo periodo – commenta Russo – Il Sud è arretrato soprattutto perché privo del capitale umano indispensabile per gestire servizi in modo efficiente, alimentare lo sviluppo e rendere competitivo il territorio». La ricetta, dunque, è una: stimolare la formazione di personale di qualità negli enti pubblici e nelle imprese. «Bisogna dotare Regioni ed enti territoriali di una struttura tecnica in grado di gestire anche le materie più ostiche – conclude Russo – Così come deve cambiare il rapporto tra chi eroga i fondi e chi li gestisce: le Regioni devono affiancare enti territoriali, organismi di ricerca e imprese nel processo di spesa e metterli in rete. Altrimenti non c’è crescita».
