La lunga marcia incompiuta del contraddittorio cautelare

Il codice del 1930 prevedeva la carcerazione preventiva dell’accusato come fatto ordinario e la libertà provvisoria come eccezione. Ovviamente diverso lo scenario, che finalmente tentava di uniformarsi al dettato costituzionale, realizzato con il codice di procedura penale del 1989, ispirato ai principi dell’accusatorietà. Fin dall’entrata in vigore del nuovo Codice, però, le vicende della cautela penale sono state oggetto di scontro tra l’effettività delle esigenze di garanzia da un lato e le mai sopite spinte inquisitorie dall’altro. Il Legislatore, sorretto da diverse maggioranze, è intervenuto più volte al fine di tentare di preservare i diritti di libertà e l’effettività delle garanzie di difesa, in alcune altre occasioni, cedendo invece a pulsioni emergenziali. Neppure i nuovi diritti processuali previsti dall’art. 111 della Costituzione riformato sono stati in grado di stabilizzare il quadro.

Il risultato è ad oggi una disciplina a dir poco asistematica, frutto della stratificazione di novelle legislative intervenute anche per contrastare certi orientamenti della giurisprudenza. Si è ritenuto di procedere per via normativa al fine di “difendere” il concreto esercizio del diritto al silenzio che non può essere indice di pericolo di inquinamento della prova e si sono rimodulati i presupposti della specifica esigenza cautelare (legge 332/95); si è estesa per legge la regola di giudizio ordinaria anche alla fase cautelare e individuata la inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato quando non venga indicata la fonte diretta (legge 63/2001). Ancora, si è prevista la condivisione scritta del Procuratore della Repubblica alla richiesta di applicazione della misura cautelare da parte del P.M. assegnatario del procedimento (D.lgs. n. 106/2006). Si è indicata per via legislativa la specificazione di concretezza e attualità dei pericula e previsto il rafforzamento dei rimedi cautelari (legge 47/2015). Non può essere dimenticato in questo elenco il referendum del 2022, il cui risultato è noto, che aveva l’obiettivo di limitare l’incidenza del pericolo di reiterazione quale giustificazione per la misura del carcere ai soli reati più gravi.

Da ultimo ha provato a mettere ordine il Parlamento con la legge 114 del 9/08/2024 (c.d. riforma Nordio). Tra le diverse previsioni interessa qui sottolineare il meccanismo per il quale, per la sola custodia in carcere, il Giudice debba procedere preventivamente all’interrogatorio della persona nei confronti della quale è richiesta tale misura. Di per sé la previsione è corretta e parrebbe destinata a realizzare il fondamentale principio del contraddittorio che deve attenere anche alla fase cautelare. La modalità però non riguarda ogni accusa, essendo previste deroghe, nella tradizione del doppio e triplo binario che oramai caratterizza la nostra legislazione penale, che ne escludono l’operatività per un lungo catalogo di reati ed è inoltre limitata al solo pericolo di recidiva.

Non si tratta dunque di un contraddittorio preventivo sui presupposti e sulle ragioni della misura: il Giudice lo disporrà solo dopo aver valutato la richiesta dell’accusa, e aver ritenuto la stessa evidentemente fondata sia in ordine alla gravità indiziaria sia alla prospettazione del pericolo di reiterazione. All’indagato è riservata la mera resistenza alla complessa valutazione del fatto per come costruita dal Pubblico Ministero prima e dal Giudice poi. I pochi dati disponibili relativi all’anno di vigenza della nuova disciplina – empiricamente raccolti nell’attività professionale e in parte rilevabili dalle pronunce della Cassazione – danno conto di come la discussione dinanzi al Giudice sia per lo più limitata a resistere il fondamento del pericolo di reiterazione, o la intervenuta sua modificazione in senso favorevole, raramente sulla gravità indiziaria.

Anche questa riforma, dunque, più che realizzare un vero e proprio contraddittorio si limita a introdurre un ulteriore filtro contro “l’appiattimento del Giudice delle indagini preliminari sulle richieste dell’Ufficio del Pubblico Ministero”. A riprova di come sia ancora lunga la strada per realizzare in sede cautelare il contraddittorio, vicende recenti mostrano come l’intervento del Giudice per le indagini preliminari si risolva in un mero controllo della tenuta di quanto prospettato dal Pubblico Ministero. È oramai imprescindibile considerare che la realizzazione del contraddittorio cautelare non può che prevedere un Giudice effettivamente terzo, separato sul piano ordinamentale dal Magistrato del Pubblico Ministero, portatore di una cultura dei diritti, in grado di considerare autonomamente gli elementi di prova e le eventuali ragioni di cautela, lontano da ogni condizionamento investigativo.