Haim Baharier, pensatore, studioso di ermeneutica ed esegesi biblica, ha vissuto almeno dodici vite. Nato da genitori ebrei polacchi, sopravvissuti ad Auschwitz, impara sin da giovane diverse lingue, tra cui yiddish, tedesco, inglese e russo. Matematico e psicanalista, lavora nell’azienda di famiglia, si occupa di commercio di preziosi e consulenza aziendale. È stato allievo di Emmanuel Levinas, Paul Diel e Léon Askenazi, ed è stato vicino al maestro chassidico Israel di Gur. Insegna Torah e Talmud, tiene da anni lezioni molto seguite di ermeneutica ebraica.
Lei è un intellettuale colto e raffinato che però, a proposito di Moni Ovadia, si è lasciato andare sui social.
«Questo ladro di galline ha pubblicato a suo nome, senza vergogna, un libro Vai A Te costituito dalle registrazioni delle mie lezioni. Ha costruito una misera carriera da intrattenitore con contenuti della cultura yiddish, spettacolarizzando la Shoah in sintonia con il mainstream della pseudo memoria, ben lontano dalla concezione profonda del popolo di Israel».
Cosa può aggiungere?
«Sono stato a lungo il suo maestro di ermeneutica biblica. Ovadia ha attinto molto da noi. Ma è sefardita, non ha un legame originario con lo yiddish: tutto quel che sa lo ha imparato da un rabbino canadese a Milano. Fa quello che fa un attore… Ma lasciamo perdere Ovadia».
D’accordo, andiamo all’oggi. Ma un po’ come nelle rappresentazioni grottesche di Ovadia, il nostro tempo fatica a fare i conti con la realtà, sprofondando in una ondata di antisemitismo di massa.
«Sono riluttante a usare il termine «antisemitismo»: troppo generico. Il punto è che l’Occidente non ha mai fatto davvero i conti con la Shoah, con quella che si è poi chiamata Catastrofe, Olocausto. Non ha voluto affrontare a fondo l’apporto cristiano alla giudeofobia. Né ciò che la precede. Al posto di una vera elaborazione, si è istituito un culto della memoria fatto di candeline e cerimonie. È rituale, non riflessione».
Per dirla con una brutta battuta, si celebrano molto gli ebrei morti per non celebrare gli ebrei vivi.
«Esatto. L’ebraismo non è una religione, ma un’identità. Quando sento parlare di «tre religioni monoteiste» mi irrito: le uniche religioni sono islam e cristianesimo. L’ebraismo è un percorso identitario, inseparabile dal luogo in cui nasce: Israele, la Terra del Dono. Una terra che ci è affidata per costruire la società delineata nella Torah».
E cosa urta, di questa identità?
«Forse la sua forza, la sua pluralità. Forse ci invidiano. Non so fino in fondo perché, ma lo percepisco».
Ma c’è un altro tema: Israele come faro di democrazia liberale e occidentale dà fastidio a molti. E soprattutto ai vecchi e nuovi antagonisti che si coalizzano contro Israele. Vedono Israele in ciascun ebreo.
«E da un certo punto di vista hanno ragione: io non mi posso concepire senza Israele. All’inizio del Novecento, un ebreo francese diceva: «Sono francese di confessione israelita». Ma è un errore: non esiste una confessione israelita. C’è una cittadinanza, non un’identità religiosa. Io sono cittadino francese e italiano, pago le tasse, ma non è quella la mia identità».
L’identità ebraica che è endemicamente plurale, no?
«Molto plurale. E laica. Forse siamo stati noi a inventare la laicità. Quando mi chiedono se credo in Dio, rispondo: «In ebraico non esiste la parola Dio». Esistono espressioni, nomi, metafore. Nell’ebraismo non c’è riduzione: è un monoteismo plurale».
Lei lo vede, questo nuovo antigiudaismo, nel suo quotidiano, nel suo lavoro?
«Le dico una cosa: ho scritto un libro con Erri De Luca, Genesi, uscito per Feltrinelli. Doveva uscire a settembre, è uscito in aprile, senza promozione. Nessuno lo presenta. E De Luca, mio allievo, mi dice che non vuole presentarlo con me. Chissà perché. Sto ironizzando: forse perché sono colto e lui no? In realtà gli voglio bene, lo stimo. Ma resta un fatto: il libro è stato silenziato».
Qual è la sua idea?
«Mi chiedo se chiamarla giudeofobia o antisemitismo. Perché questo silenzio? Non lo dico perché spero di arricchirmi con un libro sulla Genesi, sia chiaro. Ma perché non deve avere un suo spazio, una sua vita? Con Andrée Shammah faremo una presentazione al Parenti, a ottobre. Sarà una mia lectio sull’antisemitismo. Su come si può pensare che l’esercito israeliano si comporti come viene raccontato. Come si può pensarlo?»
Milano, ieri: un ebreo francese e suo figlio aggrediti all’Autogrill perché portavano la kippah. Che cosa sta succedendo?
«Milano mi ha dato tanto. L’80% dei miei allievi nei corsi biblici non è ebreo. Ma la giudeofobia non era mai scomparsa. Era solo addormentata. Oggi è tornata, legittimata: i cattivissimi israeliani, i buonissimi di Hamas».
Un ritorno ciclico, come scriveva Giambattista Vico. Un secolo dopo, le stesse parole, lo stesso nemico pubblico: l’ebreo. Che non è mai innocente, perché è ebreo…
«Un secolo dopo Mussolini, Hitler e Pétain, vediamo gli stessi fenomeni. Sotto forme diverse, ma con la stessa radice. L’unica risposta possibile è testimoniare con la vita, per la vita».
