Qualche analista l’ha già ribattezzato “l’asse del caos”, per distinguerlo o per richiamare “l’asse del male” dei tempi del presidente Usa George W. Bush. Ma quello che si è visto ieri e che si vedrà soprattutto oggi a Pechino (in occasione della parata militare per l’anniversario della guerra con il Giappone) è qualcosa di molto diverso dal semplice caos. Non un blocco di medie potenze o milizie, ma un sistema di Paesi ormai sempre più uniti nel rappresentare l’alternativa dell’Occidente alla “governance globale”. Decine di governi che vogliono rimodellare l’ordine internazionale, dall’Europa all’Estremo Oriente fino all’Africa. E tutti quanti alla corte di Xi Jinping, leader di una Cina che non ha abdicato né vuole abdicare al suo ruolo di guida di questa altra parte del mondo. Le immagini, in questo senso, raccontano qualcosa di profondo. Le divergenze tra le varie potenze e i vari leader di certo non mancano. Di vere e proprie alleanze è anche difficile parlare.
Tuttavia, quello che è apparso chiaro da questi giorni è che tutti vogliono mostrare unità di intenti e convergenza di interessi sulla gestione del mondo. E questo, rispetto a un Occidente dove l’Europa non riesce mai a essere compatta e con un Donald Trump che è calato come un uragano sui rapporti transatlantici, è un segnale che dovrebbe far riflettere le cancellerie dell’Unione europea e la Casa Bianca. A Pechino si sono incontrati diversi mondi. Sono sbarcati rappresentanti di alcuni membri della Nato. Uno è il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto. L’altro era il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Un altro ancora il primo ministro della Slovacchia, Robert Fico. E proprio con quest’ultimo si è intrattenuto il presidente russo Vladimir Putin.
Un bilaterale che ha messo in allarme l’Ue e in cui lo “zar” ha assicurato di non volere attaccare l’Europa, di accettare l’adesione di Kyiv nell’Unione (ma non nella Nato) e di essere disponibile a trattare delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Mentre Fico ha ribadito l’impegno della Slovacchia per la cooperazione energetica con Mosca. In Cina è arrivato anche il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, reduce dalla guerra dei 12 giorni con Israele e da un negoziato sul programma nucleare che fatica a decollare e sotto la minaccia del ritorno delle sanzioni Onu. Nella Repubblica popolare si è presentato anche il premier indiano Narendra Modi, che Trump ha messo nel mirino con i dazi per l’acquisto di petrolio russo. Una visita che il consigliere senior della Casa Bianca per il commercio, Peter Navarro, ha commentato in modo molto negativo: “È un peccato vedere Modi, in quanto leader della più grande democrazia del mondo, schierarsi con i due più grandi dittatori autoritari del mondo, Putin e Xi Jinping. Non ha alcun senso”. E sempre alla corte di Xi è arrivato anche il leader nordcoreano Kim Jong-un, che siederà tra il presidente cinese e quello russo durante la parata militare con cui sarà celebrato l’80esimo anniversario della vittoria di Pechino sul Giappone nella Seconda guerra mondiale.
Il parterre non è più solo quello della Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ma qualcosa che inizia ad andare al di là del partenariato economico. A Pechino va infatti in scena un’alternativa. La Cina ha sostenuto l’economia russa durante tutta la guerra in Ucraina, rappresentando l’ancora di salvezza del Cremlino. Iran e Corea del Nord hanno fornito armi, droni, munizioni e anche uomini (nel caso di Pyongyang) alle forze armate russe. L’India ha continuato a comprare petrolio di Mosca. Cina e Russia, che ieri hanno siglato un accordo per il nuovo gasdotto Power of Siberia 2, hanno già confermato la loro opposizione alle sanzioni contro Teheran e cooperano con la Repubblica islamica sul dossier nucleare.

I leader dei Paesi più piccoli sono stati accolti da Xi nella maniera migliore. E come spiegato da molti analisti, rispetto a un Occidente confuso e con gli Stati Uniti quasi frustrati dalla propria stessa leadership, la Cina ha voluto mostrare un volto diverso. Il volto della stabilità, della condivisione. “Le regole interne di alcuni Paesi non dovrebbero essere imposte ad altri” ha detto il leader cinese. E questo, per governi critici dall’Europa e dagli Stati Uniti e puniti dai dazi di Trump per le rispettive politiche, è un messaggio che sembra anche volere cogliere una “finestra d’opportunità”. Ne è un esempio il volto sorridente di Modi, in limousine e mano nella mano con Putin e felice di incontrare Xi. L’India è stata sempre corteggiata da Washington. Ma i dazi di The Donald sembrano avere sortito un effetto indesiderato.
La parata: Xi vestito da Mao
Tra gli invitati più di 20 leader stranieri, tra cui il presidente iraniano Masoud Pezeshkian e il capo della giunta militare birmana, il generale Min Aung Hlaing. Nella parata durata 70 minuti è stata esposta una selezione di armi di nuova generazione, tra cui jet da combattimento, apparati di intelligence senza pilota e missili ipersonici, tutti di fabbricazione nazionale.
Tra gli ospiti anche il re cambogiano Norodom Sihamoni, il presidente vietnamita Luong Cuong e il primo ministro malese Anwar Ibrahim. Erano presenti anche altri leader dell’Asia meridionale e centrale, tra cui il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif e il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev. Anche il presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa era presente nella lista degli invitati.
