La Repubblica dei cialtroni e la poco credibile piena fiducia in “quella” magistratura

Quando un indagato proclama di avere “piena fiducia nella magistratura” scatta in me un riflesso pavloviano di incredulità mista a sorpresa. Crederci è difficile. Non so se sia un consiglio degli avvocati (magari tratto da qualche manuale) o una frase spontanea, ma il mio scetticismo non nasce da pregiudizio verso i togati. Nasce da una sfiducia radicale, netta e assoluta nell’umanità (tutta), che conosco benissimo e di cui la magistratura fa parte (o almeno credo).

Da quando abito questa terra, frequento umanità. E ho scoperto che la cialtronaggine si distribuisce democraticamente, trasversalmente, pervasivamente in ogni categoria. Giornalisti, politici, medici, imprenditori, operai, insegnanti: non esiste professione immune. Con il supporto dell’ISTAT potremmo misurare le percentuali di cialtroneria per categoria, ma sono certo che non ne troveremo mai una a percentuale zero. La parola cialtrone ha un etimo e una storia incerta, ma col tempo ha assunto una connotazione morale: il cialtrone è l’impostore disinvolto, colui che si prende gioco della buona fede altrui, un furbo mediocre, incompetente ma pieno di sé. Non è il delinquente, ma il pressappochista spavaldo. Non è l’inetto, ma chi compensa l’ignoranza con la faccia tosta.

In sintesi, il cialtrone è un tipo umano tipicamente italiano: non sa, ma recita di sapere. Abbiamo espresso, storicamente, campioni di cialtronaggine osannati dalle folle. Il cialtrone non è figura folkloristica o incompetente sopra le righe. È un tipo morale che attraversa la storia della cultura, mimetizzandosi nei contesti più disparati e adattandosi alle mutazioni del potere, della comunicazione, della tecnologia. Non è semplice imbroglione: è il prodotto riuscito di un sistema che premia la performance sopra la sostanza, l’apparenza sopra la competenza. La letteratura psicologica descrive la sindrome dell’impostore: persone competenti che dubitano del proprio valore. Ma esiste anche il contrario, raramente tematizzato: l’impostore senza sindrome, chi è oggettivamente incompetente ma si percepisce e si propone come competente. È l’effetto Dunning-Kruger: gli individui con basse competenze tendono a sovrastimare la propria abilità. L’organizzazione che non possiede strumenti solidi di valutazione non solo non corregge questa distorsione, ma la premia, scambiando l’autoconvinzione per leadership.

Il Principio di Peter enuncia che “in una gerarchia, ogni membro tende a salire fino al proprio livello di incompetenza”. Se sei bravo nel tuo lavoro, vieni promosso. Ma non è detto che tu sia altrettanto bravo nel lavoro del livello superiore. A quel punto resti lì: inadeguato ma stabile. Il cialtrone si insinua perfettamente in questo schema, non per meriti oggettivi, ma per capacità di interpretare il ruolo, manipolare segnali e gestire relazioni. È il professionista della sopravvivenza organizzativa, non del valore prodotto. Platone fu tra i primi a denunciare questa figura sotto il nome di sofista. Nel Gorgia e nel Sofista, il sofista è colui che sa “parlare bene” ma non sa nulla: manipola le parole, simula la verità, conquista consenso con strumenti vuoti. Primo caso documentato di cialtroneria epistemica: sapere come sembrare competenti senza esserlo. Baudrillard, in Simulacres et Simulation, parla della società dei segni dove il reale è sostituito dal segno del reale.

Il cialtrone è il cittadino perfetto di questo mondo: non è competente, ma simula la competenza. Non ha esperienza, ma mima l’esperienza. Non sa fare, ma sa apparire. E spesso viene premiato. Il Simulacro non è ciò che nasconde la verità, esso è la verità che nasconde il niente.
Viviamo nell’era dell’economia dell’attenzione. Chi riesce a comunicare bene, a essere visibile, a stare al centro della scena viene premiato più di chi è competente ma silenzioso. Il cialtrone sa vendersi: padroneggia LinkedIn, gestisce presentazioni, naviga la politica interna. Il bravo-tecnico, il silenzioso-etico, l’umile-competente perdono la partita della narrazione.

No, non ho “piena fiducia” nella magistratura, nella politica, nella medicina, negli scienziati, negli insegnanti, nei meccanici, nei giornalisti, nei manager, negli operai, nei calciatori e neppure negli allenatori. Ma nella maggior parte di queste categorie ho conosciuto persone che, nonostante i cialtroni che le abitano, cambiano un po’ il mondo in meglio facendo il proprio mestiere. Con competenza, umiltà, rigore. Senza proclami sulla fiducia nelle istituzioni.