La scuola riapre le porte, tra polemiche per le nuove cattedre e la novità dei docenti tutor

La prossima settimana inizia la scuola. Tranne per bambini e ragazzi di Bolzano, che hanno iniziato il 5 con enorme gioia (dei genitori, s’intende). Ma comunque a parte le date scelte dai singoli istituti e Regioni, con la prossima settimana ha inizio ufficialmente il nuovo anno scolastico. Che, come da tradizione, inizia con la sua dose di polemiche, problemi e qualche novità.Iniziamo dalle polemiche. Come ogni anno, si sprecano i numeri sugli insegnanti mancanti: chi dice 100mila, chi dice che rimarrà vuota una cattedra su tre, chi 30mila nella sola Lombardia e chi invece dice che mancano solo i supplenti, come se le figure di ruolo fossero tutte al loro posto col registro in mano. Al di là dei numeri che come sempre cambiano a seconda della fonte, la polemica rimane. Da una parte sindacati e associazioni di categoria, dall’altra Ministero e qualche dirigente, con incursioni di insegnanti che si vedono assegnati a cattedre a 800km di distanza e genitori che già risparmiano per le ripetizioni che i loro figli dovranno fare e che pianificano entrate e uscite con una cura militaresca. Infatti come ogni anno sicuramente ci saranno bambini e ragazzi che avranno la loro maestra o la loro professoressa ad anno scolastico iniziato, con conseguenze sia sull’apprendimento sia sulla quotidianità (entra dopo, esci prima, ore buche passate a far nulla…).

Però quest’anno il problema si dota di un taglio nuovo: pare, infatti, che molte delle cattedre che rimarranno vuote siano dovute alla mancanza di personale qualificato. Molte liste provinciali (sì, le liste sono ancora provinciali, quelle cose abolite a metà anni fa) da cui sono individuati e chiamati i precari sono totalmente vuote o quasi. Alcuni concorsi hanno ormai pochissimi vincitori ancora in attesa di assunzione e così ci troviamo, ad esempio, con 24 insegnanti abili a fronte di una richiesta di 3mila ingegneri o con 20 persone a fronte di circa 4mila necessità per Matematica e Fisica. Ma non è l’unico problema. L’Italia infatti inizia il nuovo anno con numeri sconcertanti sul fronte dell’abbandono scolastico: peggio di noi fanno solo Romania e Spagna. Sono numeri che fanno poco rumore rispetto ad altre statistiche che prendono titoli e spazi, ma l’abbandono scolastico è superiore al 12% con picchi di oltre il 20% in Sicilia e del 18% in Puglia. La media europea dev’essere al massimo al 9% entro il 2030: siamo ben lontani dal dare il nostro contributo. Ma, soprattutto, siamo ben lontani dall’avere politiche e soluzioni a un problema enorme: per i ragazzi protagonisti dell’abbandono, in primis, e per il futuro della nostra economia e del nostro Paese. A lasciare gli studi sono perlopiù i giovani più svantaggiati, o perché nati in famiglie con difficoltà economiche o perché in contesti sociali difficili. Se non riusciremo a risolvere questo problema, queste difficoltà non solo rimarranno, ma si radicheranno sempre più diventando perfino impossibili da estirpare, aggravando disuguaglianze e impoverendo l’intera società. Un fallimento, per dirla con una parola sola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È anche per questo obiettivo che da quest’anno vedremo i Docenti Tutor, la cui nascita è prevista dal PNRR (o da quello che ne rimane oggi) per le sole scuole superiori, in un più ampio piano di orientamento. Saranno circa 40mila e dovranno affiancare gli studenti dell’ultimo triennio, aiutandoli a trovare consapevolezza delle proprie capacità e supportando le famiglie nel prendere decisioni importanti per il futuro dei loro figli. I docenti hanno svolto una formazione ad hoc nei mesi estivi e sono pronti a supportare studenti e famiglie. O meglio, lo saranno: perché il Ministero ha prorogato fino al 16 settembre il periodo di formazione e le nomine saranno eseguite in seguito. Potevamo almeno su questo fronte iniziare l’anno con qualche certezza? Potevamo, e invece…

Lasciamo però da parte numeri, polemiche, problemi. Cogliamo l’occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico per fare, tutti, la nostra parte. I ragazzi faranno la loro: tocca però anche a genitori, insegnanti, educatori, dirigenti. Torniamo a interessarci davvero dei ragazzi: ad ascoltarli prima di tutto, a viverli davvero, a non giudicarli dagli occhiali da sole giganti o dalla musica che hanno nelle cuffie quando entrano in classe. Non limitiamoci a un “cos’hai fatto oggi a scuola?” dove l’adolescente tipo risponde al massimo con una sillaba o una smorfia. Siamo curiosi del percorso che stanno facendo, di quello che interessa loro, di quello che li mette in difficoltà.

Ascoltare è il primo passo per educare: permette di capirli, di rompere il muro generazionale che, ahimè, crescendo diventa sempre più spesso e resistente. Non colpevolizziamoli per un 4: certo, è un problema, ma prendere 4 in fisica non vuol dire essere falliti in tutte le materie o in tutta la vita. Il nostro primo obiettivo è aiutarli a crescere e trovare la loro strada, non pretendere che abbiano 10 in tutte le materie. E rispettiamo i ruoli. I genitori facciano i genitori, non i migliori amici, non gli avvocati davanti agli insegnanti o i PM con la toga davanti a un dirigente scolastico. Ci sono chat whatsapp più nutrite dei faldoni dei principali casi di cronaca: scegliamo da che parte stare. Cioè da quella giusta, non da quella “contro” ad ogni costo, dipingendo ragazzi come santi in cammino e non dando loro i giusti momenti formativi ed educativi quando necessario.

Diamo fiducia agli insegnanti. Ci sono tanti casi positivi di maestri e professori che oltre al voto mettono il cuore in quello che fanno: che educano, formano, non limitandosi ad istruire rileggendo nozioni su un libro. Diamo fiducia soprattutto ai ragazzi. C’è una generazione là fuori, la generazione Z, che tra pochissimo tempo sarà la maggior parte della forza produttiva e imprenditoriale di questo Paese. Se vogliamo cambiarlo, non abbiamo più tempo. Se vogliamo cambiarlo, è dalla scuola che dobbiamo iniziare.