Una cosa che va molto di moda di questi tempi è l’autocritica a sinistra. Che nelle ultime ore, più che essere una analisi della sconfitta assomiglia di più ad autoflagellazione di massa, autoanalisi, autoprocesso. Insomma, una lunga marcia nel purgatorio in cui solo una certezza è rimasta granitica: è tutto da rifare. “Dove abbiamo sbagliato e da dove ripartire”? “Siamo stati ondivaghi e confusi”? “Non abbiamo consegnato un messaggio preciso al nostro storico elettorato di sinistra”!
“Siamo stati colti di sorpresa dalla velocità con cui siamo andati a elezioni”… Insomma, uno psicodramma infinito e anche piuttosto confuso, che probabilmente porterà, nel peggiore dei casi, a non cambiare niente e nel migliore dei casi, forse, a un semplice restyling sui nomi e simboli. Perché la politica non si fa con i ‘se’, e forse, più che puntare il dito contro le stesse classi dirigenti che hanno guidato i partiti di sinistra negli ultimi tempi, o mettere il dito nella piaga delle macerie consegnate dalle urne, sarebbe il caso di ‘disegnare’ un percorso politico e un progetto per l’Italia, quelli che da tempo la sinistra ha smarrito inseguendo la propria autoreferenzialità. Il tutto, se possibile, al di là delle correnti, dei nomi e dei cognomi che, necessariamente, nel periodo che abbiano di fronte sarà inevitabile ripetere fino allo sfinimento (Bonaccini? De Micheli? Quota rosa sì – quota rosa no?).
L’ombra che aleggia nel Pd (che ha cambiato 9 segretari in 15 anni e ha iniziato il suo percorso di passione con una Direzione durata 10 ore e quasi 100 interventi) è sempre la stessa: quella dell’identità perduta. Il Psi, che di anni ne ha appena compiuti 130 e che nel consiglio nazionale del 16 ottobre prossimo aprirà una discussione franca su quali siano le tappe da seguire, l’identità l’ha sempre dichiarata, così come ha sempre rispettato e affermato la propria autonomia politica e organizzativa. La risposta a tutte quelle domande che la sinistra ama porsi è in una sola frase: socialdemocrazia europea. Quella cui dovrebbero guardare tutti i partiti di centrosinistra, abbandonando massimalismi e populismi che hanno portato a quello che siamo diventati oggi, lontani dai bisogni delle persone.
Solo partendo da qui, cioè seguendo una missione precisa, potremo trarre beneficio da un dibattito stucchevole che rischia di trasformarsi in un gigantesco happening. Le bollette aumentano, il tessuto sociale diventa sempre più fragile, il lavoro manca e l’incertezza cresce fino a diventare paura. Sarebbe insomma l’ora di chiedersi: “Sinistra, ma tu, cosa vuoi fare da grande?” Intanto, ascolta le persone al bar. E poi, punto e a capo.
