La storia di Tarcisio Manna, paziente psichiatrico maltrattato dalle istituzioni

“Voglio raccontare questa storia, lo devo a mio fratello Tarcisio, paziente psichiatrico, morto dopo essere stato vittima di tante violenze”. Si porta dentro tanta rabbia Nunzia Manna, per tutto ciò che suo fratello ha subito, strappato dalla famiglia e trasportato tra case di cura “lager” e reparti di psichiatria. “È per il suo bene”, dicevano tutti, ma i segni delle botte subite e dei sedativi assunti in eccessiva abbondanza indicavano tutt’altro. E alla fine il 2 luglio del 2018 Tarcisio è morto mentre stava nuotando. “Nessuno mi toglie dalla testa che Tarcisio è morto a causa di quello che gli hanno fatto patire negli ultimi due anni di vita. Potrei definirlo omicidio ambientale, dove nessuno ha commesso l’azione decisiva ma tutti hanno contribuito a far rotolare le cose in quella direzione – dice Nunzia – e il peggio è che le istituzioni per noi sono state un muro di gomma”.

“Mio fratello Tarcisio era un paziente psichiatrico – continua Nunzia – I primi segni di squilibrio si erano manifestati dopo aver fatto il militare”. Per questo motivo era stato preso in carico della psichiatria di Fano, città dove risiedeva insieme alle sorelle. Non era un paziente grave, era autonomo tant’è che guidava l’auto e lavorava in un centro diurno dove si occupava di giardinaggio, le piante e la Juventus erano le sue grandi passioni. Oltre a lavorare, partecipava alle attività di un gruppo buddista. “Nel 2017, però a 64 anni, la sua condizione psichica mutò aggravandosi a causa di ripetute crisi deliranti. Noi siamo in dieci tra fratelli e sorelle – racconta Nunzia – e prendere decisioni su mio fratello che mettessero tutti d’accordo non era facile. Allora abbiamo deciso di rivolgerci al Giudice Tutelare per richiedere l’aiuto di un amministratore di sostegno, una persona super partes che potesse aiutarci a fare il meglio per Tarcisio. Ce ne fu affidato uno bravo, ma purtroppo, dopo poco, per motivi suoi rinunciò all’incarico. Dopo di lui arrivò un’avvocatessa, il suo arrivo coincise con l’inizio del calvario di mio fratello. Fin da subito lavorò per rinchiudere mio fratello in una struttura, in modo da liberarsi di tutti i problemi che con una gestione domiciliare del paziente avrebbe dovuto affrontare”.

Così Tarcisio, senza alcun preavviso, fu allontanato dal centro diurno dove lavorava. Di lì a poco si ritrovò in casa solo e fisso davanti al televisore. Nunzia racconta che in quel periodo Tarcisio cominciò a peggiorare anche perché il padre era morto da poco e lui aveva accusato il colpo più degli altri fratelli. A questo punto della vicenda i medici chiesero a Nunzia di accompagnare il fratello nel reparto di psichiatria ma lei rifiutò di appoggiare quella che lei stessa definì una sorta di “deportazione”.

Allora l’amministratrice optò per il prelievo forzato. In quel periodo Tarcisio viveva a casa della sorella Carmela, particolarmente legata a lui. Lì fu prelevato con forza, con tanto di vigili urbani, e portato in una struttura. “Noi vedemmo tutta la scena nelle riprese della telecamera che mia sorella teneva in casa – continua Nunzia – Lui, impaurito tentava di resistere, ‘non ho fatto niente, voglio tornare a casa mia’ urlava tra le lacrime invece fu costretto a seguirli con la forza ‘stai tranquillo stai andando in vacanza’ gli risposero. Dalle immagini si vede tutta la prepotenza gratuita usata contro una persona fragile e indifesa”. Non si trattava nemmeno di un TSO, (Trattamento Sanitario Obbligatorio). Anzi secondo lo psichiatra che lo aveva conosciuto e seguito, sarebbe dovuto andare per vedere il posto e se per qualche ragione la struttura non gli fosse piaciuta sarebbe dovuto tornare a casa (inserimento Dolce).

Invece con quel ratto cominciò un calvario durato nove mesi. Arrivato nella sua nuova residenza, gli operatori si resero conto che in quelle condizioni Tarcisio per loro era ingestibile, per cui fu rispedito in psichiatria a Fano grazie a d un TSO. Una volta tornato in ospedale a noi sorelle ci fu impedito di fargli visita. La motivazione era che la nostra presenza lo avrebbe destabilizzato. “Era chiaramente un escamotage messo in atto dai medici e avallato dall’amministratore – dice Nunzia che è anche medico per professione – Nel momento in cui noi familiari ci siamo rivolti al giudice tutelare per nominare un amministratore abbiamo praticamente perso ogni diritto di parola”.

Qui comincia la parte peggiore di questa storia. “Tarcisio nella psichiatria di Fano – ricorda Nunzia con grandissimo dolore – venne legato al letto, stava male, aveva la febbre, problemi respiratori e nessuno ci diceva nulla. A tutti impedivano di vederlo, pure a me che sono medico”. Poi un giorno mia sorella Lucia andò a trovarlo e le comunicarono che lo avevano trasferito, ancora all’insaputa della famiglia in un’altra struttura, un luogo noto alle cronache per essere una sorta di lager. La titolare della casa di riposo fu condannata anni fa, dalla Corte d’Appello di Bologna per omicidio colposo a due anni e nove mesi.

“Un giorno senza avvertire la direttrice andai a far visita a mio fratello – racconta Nunzia – lo trovai con un occhio nero, lui mi disse che l’avevano picchiato invece la direttrice sosteneva che si era fatto male da solo. Mi sono rivolta immediatamente al Giudice Tutelare di Tarcisio il quale incaricò l’Amministratore di sostegno di verificare l’accaduto, senza informare il pubblico ministero. A questo punto andai in questura e sporsi denuncia. Lì i poliziotti mi spiegarono che il tipo di contusione e il relativo ematoma erano così nitidi che secondo loro, poteva essere stato causato soltanto da un pugno. Nel periodo di ricovero coatto mio fratello perse 20 chili. Non solo lo lasciavano senza mangiare ma per non fargli sentire i morsi della fame lo riempivano di psicofarmaci. Non contenti gli avevano pure sospeso alcune terapie salvavita. Io e le mie sorelle non sapevamo più che fare, decidemmo di rivolgerci ad un bravo giornalista a cui raccontammo la storia. Lui contattò l’amministratore di sostegno e la direttrice per chiedere la loro versione sulla vicenda. L’intervista non fu mai pubblicata ma sortì ugualmente l’effetto sperato, dopo pochi giorni nostro fratello fu rispedito nuovamente in reparto a Fano. Dopo la minaccia dell’intervista per noi sorelle fu sempre più difficile riuscire a vedere Tarcisio. Le rare volte che ci autorizzavano la visita, all’ingresso gli infermieri ci perquisivano la borsa”.

A questo punto Tarcisio era diventato una specie di zombie. “Dal momento in cui mio fratello fu prelevato da casa di mia sorella era peggiorato tantissimo e stava malissimo”. Dopo questo secondo ricovero in psichiatria Tarcisio fu trasferito in una nuova casa di cura. “Per accogliere mio fratello chiesero al giudice due cose: divieto di visita dei familiari per almeno due mesi e la possibilità di tenerlo legato all’occorrenza. Fu allora che la trasmissione Chi l’Ha visto mandò in onda il servizio che riguardava l’odissea di mio fratello”. Dopo la emessa in onda di quella inchiesta Tarcisio fu mandato via anche da lì, rispedito nuovamente in psichiatria a Fano dove rimase per altri tre mesi, “come se fosse rinchiuso in un manicomio”, ha detto Nunzia. Le sorelle, per riavere il fratello, si rivolsero al Telefono Viola con loro organizzarono un sit-in davanti all’ospedale.

All’inizio dell’estate 2018 Tarcisio tornò a casa da Carmela. Un giorno decisero di andare al mare, Tarcisio iniziò a nuotare e dopo due bracciate fu colto da malore. “Una morte cardiaca improvvisa, che probabilmente ha a che fare con le quantità abnormi di farmaci neurolettici con cui lo avevano imbottito nei mesi precedenti”.

Poi il 13 dicembre 2018 scattò il blitz dei Nas di Bologna: all’alba di quel giovedì, una raffica di perquisizioni e arresti nei confronti del legale rappresentante e degli operatori della struttura, dove gli anziani venivano maltrattati. “Al momento del blitz i militari dell’Arma scoprirono 36 anziani in condizioni pietose e visibilmente denutriti tanto che, la prima cosa che chiesero fu quella di poter mangiare qualcosa. Allo stesso tempo, nei vari ambienti della casa di riposo fu trovata sporcizia e aleggiava un odore nauseabondo. La titolare, nel 2001, era già stata al centro di una vicenda analoga. In quella occasione era stata arrestata e condannata insieme al fratello sempre per maltrattamento di anziani.

“In questi due anni io e le mie sorelle abbiamo speso un mare di soldi in avvocati per denunciare tutte queste schifezze. Noi denunciavamo il comportamento inadeguato dell’amministratrice e dei medici, denunciavamo i pestaggi, le condizioni di vita indecenti della casa di riposo ma nessuno ci ha ascoltato preoccupati com’erano a coprirsi tra loro in una sorta di connivenza para mafiosa. Solo oggi il giudice responsabile del blitz ci ha sentito parecchie volte, purtroppo per Tarcisio fu troppo tardi ma è nostra intenzione al processo, costituirci come parte offesa, perché furono tanti gli attori entrati in scena soltanto per levarsi dai piedi Tarcisio e le sue sorelle e nessuno mi toglie dalla testa che gli psicofarmaci e le violenze subite causarono la sua morte”.

Sono stati in tanti ad aiutarlo a morire – ha concluso Nunzia – C’è stato chi lo ha prelevato da casa con la forza, chi lo ha spedito in giro per strutture mangia soldi come fosse un pacco, chi lo ha legato al letto, chi lo ha picchiato, chi lo ha rimbambito di farmaci, chi mirava ai suoi soldi e soprattutto, una pletora di sciacalli sociali composta da giudici, avvocaticchi, medici , amministratori, case, casette, cooperative, che approfittando della malattia mentale ne traggono profitto tirando a campare sulla pelle dei malati. Questi sono, io credo, i responsabili della morte di mio fratello”. Quella di Tarcisio è una storia purtroppo simile a molte altre. Drammi che si consumano nel dolore delle famiglie e nel silenzio di chi sta intorno perché purtroppo la malattia mentale interessa a pochi.