Appena un mese fa, nel cinquecentenario della Battaglia di Pavia, la città lombarda non si è limitata a rievocare il passato, ma lo ha usato per interrogare il presente. Al Castello Visconteo, dove i Musei Civici ospitano la grande mostra “Pavia 1525: le arti nel Rinascimento e gli arazzi della battaglia”, Aspen Institute Italia (un’associazione privata e indipendente che promuove il dialogo tra impresa, istituzioni e ricerca su temi strategici) ha tenuto la conferenza “La battaglia di Pavia e il futuro della difesa europea (1525–2025)”. Un titolo che è un programma: mettere a confronto memoria storica e problemi di oggi, dal coordinamento industriale alla sicurezza cibernetica, dalla guerra ibrida alla capacità europea di deterrenza.
Il Partito Comunista Rivoluzionario e Radio Aut hanno in protesta l’hanno definita una “conferenza dei mercanti di morte, di chi guadagna dalla vendita di armi” e il consigliere comunale De Chiara (Alleanza Verdi e Sinistra) ha chiesto chiarimenti al sindaco Lissia. Si tratta di proteste ascrivibili all’antimilitarismo più becero e retrivo, oggi più che mai particolarmente fuori fuoco, giacché la protezione delle infrastrutture critiche, la sicurezza delle reti, l’autonomia delle filiere, sono temi che toccano la collocazione dell’Europa in un mondo più instabile e quindi la “tenuta” democratica, i diritti dei cittadini e la loro sicurezza. Ancor più ciecamente ideologico è parso lo slancio della Rete Antifascista pavese, sui propri canali social, che ha definito l’attività di Leonardo S.p.A. (uno dei contributori dell’iniziativa insieme alla Fondazione Monte di Lombardia) come un sanguinario “business delle armi”. Ridurre una realtà come Leonardo alla macchietta del mercante interpretato da Alberto Sordi in Finché c’è guerra c’è speranza (1974) significa ignorare che si tratta di un leader mondiale nel settore dei trasporti (aeronautica, elicotteristica), dell’aerospazio e dell’elettronica avanzata (con particolare riferimento alla cybersicurezza).
Non è una “fabbrica d’armi” opaca, ma una società quotata, controllata al 30% circa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con un flottante in mano per lo più a investitori istituzionali e una consistente partecipazione retail. In altre parole, una vera public company che risponde al mercato e alle sue regole di trasparenza e – sì – anche allo Stato e ai risparmiatori. Se l’obiettivo strategico europeo è quello di rafforzare non solo la base tecnologica e industriale della difesa, ma anche l’innovazione e la ricerca applicata, è proprio su player come Leonardo che si gioca la partita.
Chissà cosa pensa della sortita del consigliere comunale di AVS il suo amministratore delegato, quel Roberto Cingolani, nel governo Draghi già ministro della transizione ecologica, fortemente voluto da M5S e dalla stessa sinistra. Pavia nel 1525 fu un tornante dell’ordine europeo. La battaglia fu decisa da un’innovazione tattica e tecnologica – l’impiego combinato di picche e archibugi – che rese vulnerabile la cavalleria pesante francese, simbolo della vecchia supremazia nobiliare. Cadde un re, cambiò un equilibrio: Milano tornò nell’orbita asburgica, l’Italia imboccò una lunga stagione di subordinazione geopolitica.
Cosa ci dice tutto questo, oggi?
Primo: le innovazioni tecnologiche spostano i rapporti di forza più della politica. Nel Cinquecento fu la polvere da sparo, nel nostro secolo lo sono gli algoritmi, i sensori, i sistemi anti‑drone, la superiorità nello spettro elettromagnetico e nel dominio cibernetico. Ignorare questa realtà non la rende meno vera: la espone, semmai, al potere e agli interessi altrui.
Secondo: le guerre – e le deterrenze che le evitano – si vincono anche con la finanza e le grandi corporation. Carlo V poté sostenere campagne prolungate grazie a un solido sostrato industriale; l’Europa di oggi, per non dipendere da fornitori extra‑UE, si è data una prima strategia industriale della difesa e nelle catene di fornitura di munizionamento, senza le quali, la politica estera è un esercizio retorico.
Terzo: come ci insegna Leonardo, la tecnologia della difesa è, quasi sempre, “dual use”. I sistemi di sorveglianza, le comunicazioni cifrate, la sensoristica, il controllo del traffico aereo e marittimo, i satelliti per l’osservazione della Terra sono abilitatori civili oltre che militari. Pensare che si possano avere ospedali digitalizzati, reti energetiche resilienti, trasporti intelligenti senza investire nelle tecnologie che li proteggono è un’illusione di comodo.
C’è infine un motivo simbolico per essere contenti che questo confronto avvenga a Pavia. Nelle sale del Castello Visconteo i grandi arazzi fiamminghi che narrano la cattura di Francesco I ricordano che la storia europea si fa – e si disfa – anche in Italia. Cinquecento anni dopo, discutere qui di difesa non è un tributo bellicista: è l’atto civile di una comunità che vuole partecipare consapevolmente alle scelte di sicurezza, libertà e prosperità.
