Contrariamente a quanto accade di solito, per parlare dell’ultimo libro di Paolo Mieli (“Il prezzo della pace”, Rizzoli) conviene partire dalla fine con un argomento che a prima vista sembra connettersi poco con il resto del volume. Si tratta dell’ultimo capitolo (“Un grande maestro”) nel quale si discorre con grande chiarezza di Renzo De Felice, il grande storico del fascismo, di cui Mieli fu assistente all’Università di Roma. Com’è noto, De Felice, autore di una poderosa e insuperata biografia di Mussolini, fu il bersaglio di una durissima contestazione da parte di illustri e meno illustri antifascisti, che considerarono la sua ricerca come una rivalutazione del fascismo mentre altro non era che una accuratissima analisi delle ragioni del suo consenso. Fa piacere qui sottolineare come Mieli ricordi che Giorgio Amendola, grande antifascista, non si unì ai contestatori dell’illustre storico.
Perché questa rievocazione di De Felice è importante per capire meglio, una volta terminata la lettura, il libro di Mieli? Per il fatto che il “metodo” defeliciano è oggi più che mai indispensabile per tentare di sbrogliare la matassa di problemi storici, e i loro effetti politici, in una fase di velocissimo e tumultuoso mutamento del mondo. E per riproporre, crocianamente, la crucialità della comprensione della Storia in sé stessa in un’epoca nella quale ben altro che il discernimento dei fatti sta venendo alla ribalta, a partire dalla Rete che spazza ogni cosa alla velocità di un clic e semplifica qualunque complessità. E allora ben vengano i tempi lunghi, lunghissimi, per orientarci meglio nella selva delle contraddizioni odierne. In questo senso, il volume di Mieli è un ricco “negozio” zeppo di scaffali da passare in rassegna uno ad uno, con storie che si irradiano dalla notte dei tempi, dai Romani al Medioevo, all’età moderna, a squarci di Novecento. Ed è una serie di storie dominate dall’interrogativo: perché andò così? E poi: andò veramente così?
Ecco allora che la lente dello storico si appunta su tanti fatti, esposti con la chiarezza del grande giornalista; fatti nel senso della storia evenemenziale – gli “avvenimenti” della scuola delle Annales – ma ben inquadrati nella loro dimensione intellettuale e spesso religiosa. Proprio questo tema fortissimo, specie oggi, delle confessioni religiose, dei loro conflitti, dei loro misteri è una delle architravi più intriganti del libro. Perché il rovello dello storico è cercare di cogliere le radici di ciò che siamo, e dunque andare indietro nei secoli. Anche in questo senso c’è da stordirsi, persino, nelle rievocazioni di pensieri e storie sulla Chiesa cattolica, sull’ebraismo, sull’intolleranza che da secoli guida taluni comportamenti. Ed ecco certi Conclavi, certe dispute, certi conflitti, fino all’esame di figure complesse come quella di Ratzinger e sui nessi tra religione e storia – la vexata quaestio delle radici cristiane dell’Europa – e tutto è raccontato con l’ausilio e le citazioni di imponenti studi recenti e meno recenti su ogni aspetto, talché la bibliografia finale risulta ricca assai.
L’altro asse portante è certo il Novecento, dalle trame di Stalin ai passaggi tormentati della guerra antinazista, ai genocidi – termine oggi così dibattuto – come quello degli armeni tra il 1915 e il 1921, «perché tutti i genocidi, Shoah compresa, vengono da lontano. Per poter poi essere successivamente tutti rimossi. Negati. E potersi così riproporre dopo qualche anno sotto nuove spoglie. A dispetto di chi, in buona o malafede, ha giurato sulla formula del “mai più”». E siamo qui al nostro tempo, il cui quadro è incredibilmente delineato nelle poche pagine della prefazione dove si chiarisce il senso del volume: «Quegli ottant’anni di “pace” che avremmo vissuto», dove le virgolette alla parola pace dicono subito che no, non si è trattato di vera pace. Fuori dall’Europa è stato, ed è, un imperversare di conflitti, esattamente – ecco il messaggio “ciceroniano” – come è sempre stato nel corso dei millenni, più o meno con le stesse modalità (non certamente tecniche ma politiche e ideologiche), in una sostanziale continuità del conflitto ad ogni latitudine.
Un motivo in più per considerare piacevolmente sorprendente la previsione di Paolo Mieli quando afferma – nel terribile contesto attuale – che «l’inaugurazione di una stagione di pace è possibile», naturalmente «a patto di non andare in cerca di soluzioni facili» e che «si usi la storia, anche quella remota, per aiutarci a fare chiarezza su quel che è andato storto negli anni che abbiamo alle spalle». Nel libro, a proposito di San Francesco immaginato muto da Giotto, si legge una citazione della grande studiosa Chiara Frugoni: «Betlemme, secondo il santo, “era ovunque, purché la si avesse nel cuore, non occorreva uccidere per raggiungerla”». Parole che, in questo tempo di massacri proprio in quella parte del mondo, toccano il cuore.
