La strategia di Hamas ha funzionato, in un mondo governato dall’immagine, il terrorismo paga se ben messo in scena

Relatives of Israeli hostages held by Hamas sail along the coast of the Israeli southern city of Ashkelon towards the Gaza Strip, in a protest demanding their release from captivity and calling for an end to the war, Thursday, Aug. 7, 2025. (AP Photo/Leo Correa)

Israele non può vincere questa guerra, perché non è stata concepita per essere vinta. Non che sia militarmente superato, ma perché è preso in un’equazione volutamente resa insolubile. Il 7 ottobre, massacrando civili e rapendo centinaia di ostaggi, Hamas ha scatenato una guerra senza via d’uscita sopportabile. Israele non è stato solo sorpreso. È stato preso in trappola.

Bisogna capire bene: Hamas non cerca la vittoria, cerca la sconfitta di Israele. A loro non importa che Gaza bruci, purché Israele si dissangui. È una strategia escatologica: perdere tutto, a condizione che l’altro cada con sé. E la sua strategia si basa sull’impantanamento, sull’emozione, sulla manipolazione delle coscienze occidentali. La sua forza non è militare, è drammaturgica. E la cosa più agghiacciante è forse questa: ha capito l’Occidente meglio di molti strateghi israeliani. Il suo vero fronte è l’opinione pubblica occidentale. Prendendo ostaggi, proibisce la pace. Nascondendosi tra i civili nel territorio più densamente popolato del mondo, proibisce la guerra. Hamas ha inventato una geometria della trappola: Israele è chiuso in una guerra in cui ogni vittoria è una sconfitta. In questa guerra asimmetrica e post-moderna, non è il reale che conta: è l’immagine del reale. Questa trappola non funzionerebbe senza la cooperazione involontaria delle democrazie occidentali. Invertendo la pressione, non sui rapitori, ma su coloro che cercano di salvarli, legittimano il ricatto. Riconoscendo uno Stato palestinese senza condizioni, trasformano una strategia terroristica in capitale politico.

Siamo lucidi: un cessate il fuoco accompagnato dalla liberazione di tutti gli ostaggi è ormai un miraggio. Una mera proiezione occidentale. Hamas non vuole soprattutto una fine: vuole che il conflitto marcisca come gli ostaggi sottoterra, che l’agonia duri. Gli ostaggi sono trofei, leve, proiettori puntati su Gaza per mantenere la guerra. Non saranno tutti restituiti: è proprio per questo che sono stati presi.
Quindi a Netanyahu rimaneva solo un’atroce alternativa: o insistere, forse per anni, occupare Gaza fino all’ultimo tunnel, al prezzo di innumerevoli morti, di una sconfitta diplomatica, e senza certezza di successo; o ritirarsi, e accettare senza dirlo che un nuovo 7 ottobre sia già in gestazione. Non si tratta più di vincere, ma di scegliere la forma della sua sconfitta (o della sua mezza vittoria diranno gli ottimisti) E Netanyahu ha scelto.

Alcuni affermano, in una logica clausewitziana, che una guerra iniziata deve essere condotta fino alla fine, altrimenti torna in peggio. Altri ritengono che una vittoria incompleta sia meglio di un disastro consumato. Ma la cosa più tragica è che la strategia di Hamas ha funzionato. E funziona perché la lasciamo funzionare. Hamas lo ha capito: in un mondo governato dall’immagine, il terrorismo paga, a condizione che sia ben messo in scena.