La tv andrà tutta online: l’Italia può seguire la scia del Regno Unito. E in Francia cresce il “pay per use”

Nel 2012 l’Italia completava lo switch off televisivo, segnando il passaggio dall’analogico al digitale terrestre. Un momento cruciale che ha portato più qualità di visione, un numero maggiore di canali e una scelta più ampia per gli spettatori. Da allora, lo scenario televisivo ha continuato a trasformarsi, accompagnato dall’esplosione delle piattaforme streaming globali e dall’evoluzione tecnologica dei dispositivi domestici. Oggi il dibattito sul futuro della televisione si concentra sempre di più su un concetto chiave: l’integrazione tra broadcast tradizionale e distribuzione via Internet.

Regno Unito, tutto online

Il Regno Unito è in prima linea in questa direzione. Secondo una ricerca promossa dalla BBC, l’85% delle famiglie britanniche possiede ormai una Smart TV e oltre un quarto degli utenti guarda i programmi esclusivamente online, rinunciando al digitale terrestre o al satellite. Un’accelerazione favorita dal lancio di Freely, piattaforma gratuita che raccoglie l’offerta dei principali broadcaster nazionali – BBC, ITV, Channel 4 e Channel 5 – e che ha già raggiunto 20 milioni di utenti. Con 75mila ore di contenuti on demand, Freely si pone come alternativa credibile e competitiva rispetto a colossi come Netflix, Amazon Prime Video o Disney+. La forza del modello sta nella capacità di offrire un punto di accesso unico e semplice, garantendo allo stesso tempo qualità editoriale e riconoscibilità del brand pubblico e commerciale britannico.

L’Italia, con un sistema televisivo complesso e frammentato, potrebbe seguire un percorso simile. Le grandi emittenti nazionali – Rai, Mediaset, La7, Discovery e gli altri network – hanno tutte sviluppato esperienze digitali autonome, ma non esiste ancora un progetto unitario. Eppure le basi tecniche e industriali ci sono: la piattaforma tivùsat, che integra da anni la distribuzione satellitare gratuita, rappresenta un’esperienza consolidata e di successo. Da lì potrebbe nascere una piattaforma nazionale capace di integrare terrestre, satellite e online in un unico ecosistema. Uno strumento non solo per semplificare l’accesso agli spettatori, ma anche per rafforzare la competitività del sistema televisivo italiano nei confronti degli OTT internazionali (Netflix, Amazon, Prime). Un modello che valorizzerebbe l’intera filiera produttiva – dal mondo dell’intrattenimento alla fiction, dal cinema ai documentari – offrendo nuove opportunità di distribuzione e monetizzazione.

Francia, i micropagamenti

La Francia, dal canto suo, sta sperimentando una formula ancora diversa. TF1+ lancia una proposta innovativa basata sui micro pagamenti. Gli utenti possono guardare i programmi on demand, senza pubblicità a partire da 0,69 euro, scegliendo se restare sul modello gratuito sostenuto dagli spot o pagare un piccolo importo per eliminare l’interruzione. Una logica “pay per use” ispirata al mondo della telefonia mobile: l’utente non è obbligato a sottoscrivere un abbonamento, ma può acquistare solo il contenuto che davvero lo interessa. “Questa innovazione ci permette di entrare nel mercato a pagamento con un modello economico nuovo, che risponde a una forte domanda da parte degli utenti”, ha spiegato Claire Basini, Deputy General Manager del Gruppo TF1. Un approccio che potrebbe aprire scenari inediti, combinando flessibilità economica e maggiore personalizzazione dell’esperienza televisiva.

Una fase di profonda convergenza

Questi modelli dimostrano come la televisione stia vivendo una fase di profonda convergenza. L’era del palinsesto unico, uguale per tutti, lascia il posto a un sistema ibrido in cui i broadcaster tradizionali diventano piattaforme digitali, capaci di offrire contenuti lineari e on demand, gratuiti o a pagamento, all’interno di ambienti tecnologici integrati. Per i Paesi europei la sfida è duplice: innovare le proprie strutture industriali per non perdere terreno rispetto agli OTT globali e, al tempo stesso, difendere e valorizzare l’identità culturale e produttiva nazionale. Una sfida che riguarda da vicino anche l’Italia, chiamata a cogliere l’occasione di costruire una “Freely italiana” che possa garantire pluralismo, accessibilità e competitività in un mercato sempre più affollato e internazionale.