Mi ripeto che è morto Giorgio Armani, e mi sembra impossibile. Pensavo sarebbe vissuto non dico in eterno, ma molto più a lungo. La sua presenza terrena era talmente radicata nella sensibilità mondiale che era un po’ come per la Regina Elisabetta, nessuno più si aspettava la sua scomparsa. Lo conoscevano dappertutto il sig.Armani, come lo chiamavano i collaboratori. Più di vent’anni fa, al suo primo viaggio a Pechino, visitò la Città Proibita, erano i primi tempi del turismo “locale”, con ordinate comitive venute dagli angoli più lontani della Cina: non so come fecero a riconoscerlo in mezzo a un gruppetto di noi giornalisti, ma incominciarono a chiamarlo, Almani Almani, gli misero perfino i bambini in braccio per fotografarlo.
L’infanzia e la bomba a farfalla
Giorgio Armani era nato a Piacenza nel 1934, cinque anni dopo Sergio e cinque prima di Rosanna. Il padre impiegato amministrativo nella Federazione dei Fasci, la madre ricordata dal figlio per una semplice eleganza che lo ha sempre ispirato. La guerra e il dopoguerra difficile, il padre in galera per qualche mese, la bomba a farfalla che gli era scoppiata vicino, il dolore per le ustioni, il ricordo rimastogli impresso di un infermiere che aveva rifiutato di curarlo avendo scoperto che era figlio del fascista Armani. Ma la sua famiglia fascista non era, Giorgio ci teneva a dirlo e non era difficile credergli. Poi il trasferimento a Milano, il liceo scientifico, l’università con la scelta di medicina, presto abbandonata davanti alla esperienza della lezione di anatomia.
La Rinascente e l’incontro con Cerruti
“Volevo fare il medico per curare i corpi, in fondo l’ho fatto ugualmente, in un altro modo” spiegava. Lasciata l’università, la sua strada era incerta, per darle un ordine andò militare. Come sia poi arrivato alla moda è un percorso noto: grazie a un’amica fu assunto alla Rinascente dove rimase otto anni, all’inizio senza un compito definito e questo lo spingeva a inventarselo. Finì per essere il giovanotto che capiva le nuove tendenze, che andava a Londra a scoprire lo stile british insieme con quello dei “figli dei fiori”. La svolta fu la conoscenza con Nino Cerruti, a capo dell’azienda tessile biellese di famiglia. L’elegantissimo Nino aveva deciso di produrre anche moda maschile, un concetto nuovo rispetto alla sartoria. Capì la sensibilità innovativa di Giorgio anche per i materiali e lo assunse. Aver iniziato con la moda uomo e con tessuti “femminili”, sono rimasti i pilastri dello stile Armani.
La nascita della Giorgio Armani spa
Ormai era la fine degli anni Sessanta, una sera alla Capannina conobbe Sergio Galeotti, un giovane accattivante di Pietrasanta. I due non si sono più lasciati, il loro è stato più di un amore, un sodalizio fraterno totale. Fu Sergio a convincerlo ad aprire uno studio di design. Armani aveva capito che anche la donna ormai aveva bisogno di essere vestita come persona da stimare, e lui stimava le donne. Sentiva il loro passo, la loro voglia di libertà, sentiva che avevano bisogno di essere eleganti senza rigidità, affascinanti nei toni discreti del “greige”. La giacca destrutturata che Giorgio aveva pensato per l’uomo, quella che segue il corpo trasmettendo sicurezza e dolcezza, con spalle ampie ma morbide, diventò il sogno di una generazione che aspirava a fare tante cose nella vita. La Giorgio Armani spa nacque il 24 luglio 1975 con un capitale di 10 milioni di lire, soci al 50% Sergio, che aveva trent’anni, e Giorgio che ne aveva 41. Da quella data una lunga cavalcata di successi.
La prima sede in via Durini a Milano, la prima sfilata femminile, le modelle con il blazer Armani e i pantaloni morbidi, poi nel 1976 la passerella che acquistava ritmo con la furbizia della musica degli Inti Illimani! Per fare due cifre, nel 1976 i ricavi della società erano di 569 milioni di lire, nel 1985 di 291 miliardi. Poi arrivò la consacrazione americana con una copertina del Time che lo incoronava con il titolo Giorgio’s Gorgeus Style. Era nato Re Giorgio della moda! E con il guardaroba per American Gigolò, scambiato sensualmente tra Richard Gere e Lauren Hutton, una incredibile pubblicità. Poi arrivò la malattia di Sergio Galeotti. L’amico e socio morì nell’agosto del 1985 e in molti pensarono che Armani avrebbe chiuso.
Da stilista a capo azienda
Sprofondato nel dolore invece prese in mano tutto, anche quello che non aveva mai pensato di saper fare, il capo azienda. Da allora lo ha sempre fatto con piglio autorevole, anche autoritario, non ammettendo imperfezioni, superficialità, cadute di stile. Giorgio aveva la passione per le case, per il “mattone”, era un signore per tanti versi tradizionale, confessò che avrebbe voluto mettere i soldi sotto il materasso. Ha rifiutato di quotarsi in borsa nonostante lo spingessero vari collaboratori (alcuni “eliminati” per questo!). Bernard Arnauld patron di Lvmh gli fece una corte spietata alla fine degli anni Novanta, lui se la fece fare “per capire quanto valevo davvero” ma poi rifiutò di farsi comprare. C’è chi lo rimproverava di non aver mai trasformato il suo gruppo in una grande company dove gli italiani potessero orgogliosamente investire fidando nel valore della moda italiana, ma sarebbe stato necessario anche abbandonare molti suoi ruoli e così Armani rispondeva: “Sì, ma poi io cosa faccio? Mi annoio!”.
